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La caratteristica poetica fondamentale dello scrittore di origine argentina è l’individuazione dei personaggi come antieroi, cioè come uomini, soggetti che non fanno nulla di grandioso, che non fanno nulla degno di attenzione, che si mostrano nella loro normalità di vita. Da questo punto di vista possiamo affermare che la caratteristica della scrittura di Adrian Bravi è quella del minimalismo,  sia per il rifiuto della eccezionalità della vita, sia per una scrittura piana, adeguata in ogni modo all’essere dei suoi personaggi. Anche i racconti presenti in questa antologia non si discostano  da questa caratteristica minimalista. Ma se ci fermassimo a questo aspetto faremmo un torto allo scrittore residente a Recanati.
Un aspetto che sembra assente in questi racconti è la tacita e sottile ironia che serpeggia negli scritti fin qui pubblicati.
I personaggi di questa raccolta muovono a sentimenti di pietà, perché la loro è una sofferenza tacita, non gridata ai quattro venti, nascosta ma non meno intensa di altre sofferenze più conclamate.  E’ così, ad esempio, il caso di Giuseppe, condannato a una sedia a rotelle per una paralisi che gli impedisce la parola, ma anche i gesti. La sua totale dipendenza dalla moglie, che alla fine lo strangola per una sua disattenzione, la sua totale assenza di rivendicazione così che anche l’ultimo gesto della moglie non solo viene da lui scusato, ma giustificato a causa della propria disattenzione. Ed è pure così, sotto molti aspetti, per il personaggio del racconto intitolato “il muro sulla frontiera”. Anch’egli non mostra disagio, né lancia proteste per la sua condizione di sfruttato. Anch’egli sembra quasi chiedere scusa per l’ingombro che i gendarmi hanno della sua presenza, anche se non ne possono fare  a meno.
Il tema di questa raccolta però è centrato sulla migrazione. Abbiamo  figure particolari di migranti. Alcuni di loro dimostrano di avere più umanità di coloro dai quali ricevono lavoro, sono sempre portatori di tranquillità e pace,  mai di conflitto. Ciò che sembra più rilevante è la condizione di migrazione che viene presa in considerazione. In questi racconti si parla di personaggi che non si sono arricchiti con la migrazione, che hanno sperimentato anche il ritorno, senza successo. Personaggi che sono partiti con qualche briciolo di speranza, naufragata, rimasta sempre piccola anche quando hanno tentato maggiore fortuna ritornando e sperando forse nella solidarietà della comunità d’origine anche dei loro genitori. In fondo anche il racconto “L’albino e il tumuto” può essere iscritto alla tematica della migrazione, perché ogni migrante è un diverso e l’albino, bianco in una  società fatta tutta di neri, non può che essere considerato un diversissimo, come diversi sono considerati tutti i migranti. Ma è proprio la sua eccezionale diversità che può salvarlo fino a farne un oggetto di venerazione.
Infine e però non da ultimo vi sono alcune considerazioni da fare su come si chiudono i racconti. Si prenda quello dal titolo “gli espatriati”.  Le rondini, dopo aver visto negato per più anni l’accesso ad un luogo tradizionale per nidificare, alla fine non ritornano . Ma poi lo strumento che impediva loro l’accesso a quel luogo non viene più utilizzato. Ciascuno si aspetterebbe il ritorno delle rondini. Si aspetterebbe che venga ripristinato il senso di accoglienza, ed invece “d’allora nessuno ha rimesso la rete, ma le rondini non sono tornate più in quel cortile”. E’ ciò che accade nella realtà perché le rondini perdono la memoria del luogo e tuttavia la conclusione, diremmo, ‘lascia la bocca amara’. Ci aspetteremmo il ripristino di un fatto positivo e naturalmente confortante quale può essere quello del ritorno delle rondini. Ci aspetteremmo la riparazione di un torto o sopruso  avvenuto. Ma ciò non accade. Nessun ripristino, nessuna riedizione positiva. Ormai quel gesto naturale del ritorno ad uno spazio gradito viene disatteso. Perché questo? Forse perché la comunità non ha impedito, a chi si opponeva all’accoglienza ogni primavera  delle rondini,  di portare a compimento il suo atto discriminatorio. Ma forse anche perché la realtà non ci permette e non concede atti consolatori, la realtà è più crudele delle nostre speranze ed aspettative.
Anche il finale del racconto “il marito della selknam” lascia perplessi. E’  straniante, direbbe Sklovskij. Ma in genere tutti i finali di questi  racconti sono stranianti.
Remigio, che è ritornato al suo paese dopo decenni e rincontra la sorella rivive con la memoria tanti episodi vissuti con lei quando erano piccoli, poi lei lo porta in soffitta perché vuole fargli una sorpresa e gli presenta un ombrello, quello che lui aveva lasciato quando era partito. “Ma questo particolare, il vecchio Remigio, ormai non lo ricordava più”. Avviene anche qui qualcosa che il lettore non si aspetterebbe perché se un oggetto era così rappresentativo per un personaggio lo avrebbe dovuto essere anche per l’altro ed invece per uno dei due non ha avuto alcun significato tanto che l’ha rimosso dalla memoria. Ricordi, oggetti, che dovrebbero unire a questo punto sembrano dividere, separare. Ciascuno rimane nella sua individualità, nella sua solitudine, nel mondo che lui stesso costruisce e che molto spesso non collima col mondo dell’altro, così che oggetti, ricordi diventano un elemento di separazione.
La scrittura di Adrian Bravi è veramente interessante. La sua maestria nel tracciare vicende e personaggi è straordinaria  non perché quest’ultimi sono straordinari, ma perché sono come siamo noi, perché sono poveri e miseri come noi siamo poveri e miseri, perché sono senza gloria e senza infamia così come anche la stragrande maggioranza delle persone in tutte le parti del mondo è senza gloria e senza infamia.
I personaggi del romanziere di origine argentina sono del tutto anomali rispetto a quanto si produce nella letteratura scritta o filmata dei nostri tempi ove l’eccezionalità è la regola. Ormai nella creazione fantastica, nella vita reale si persegue lo straordinario. I reality, come “l’isola dei famosi” vivono di eccezionalità, nell’abbigliamento, nei gesti, nei discorsi, nelle prove. Chi non regge a queste grandiosità    viene osteggiato, se non disprezzato, mentre chi ha saputo essere al di sopra per anni viene osannato e portato come esempio, così che anche chi commette un delitto non si ferma al solo delitto, ma lo pensa, l’organizza  nella sua mente come un fatto che deve fare spettacolo, che deve lasciare tutti sbalorditi.
La normalità, la dimensione ridotta dei gesti, dei sentimenti dei personaggi creati da Adrian Bravi sono quanto di più umano e più necessario ai nostri tempi. Sono il controcanto indispensabile se vogliamo uscire dalle nostre tormentate nevrosi. 

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