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Quinto incontro



3 maggio 2012


PRIMA PARTE


Le due grammatiche dell’italiano


 
Quattro incipit

1)

In mezzo all’aperta pianura, sotto un cielo senza stelle, nero d’un nero d’inchiostro, un uomo percorreva, solo, la strada maestra tra Marchiennes e Montsou; dieci chilometri di massicciata che si slanciava in linea retta attraverso campi di barbabietole.

E.Zola, Germinale, Milano Mondadori, 1976 (1^ ed. 1885)

- terza persona

- imperfetto

2)

Parla la tua lingua, l’americano, e c’è una luce nel suo sguardo che è una mezza speranza.

E’ un giorno di scuola, naturalmente, ma lui non c’è proprio, in classe. Preferisce star qui, invece, all’ombra di questa specie di vecchia carcassa arrugginita, e non si può dargli torto – questa metropoli di acciaio, cemento e vernice scrostata, di erba tosata e di enormi pacchetti di Chesterfield di sghimbescio sui tabelloni segnapunti, con un paio di sigarette che sbucano da ciascuno.

Don De Lillo, Underworld, Torino, Einaudi, 1999 (1^ ed. 1997)

- terza persona

- presente

3)

Non si poteva proprio andare a passeggio quel giorno. Il mattino, è vero, eravamo andati vagando per un’ora nella brughiera spoglia:; ma dopopranzo (la signora Reed, quando non c’erano invitati , mangiava presto) il freddo vento invernale aveva portato con sé nubi così cupe e una pioggia così penetrante che non si poteva parlare di uscire ancora.

Io ne ero felice…

C.Bronte, Jane Eyre, Milano, Garzanti, 1982 (1^ ed. 1847)

- prima persona

- imperfetto

4)

C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire “Ecco cos’ero prima di nascere”.

C.Pavese, La luna e i falò, Torino, Einaudi, 1964

- prima persona

- presente

Tempi verbali e pronomi stabiliscono la distanza tra narratore – testo - lettore

 

Le due grammatiche dell’italiano

 

“commento”

“narrazione”

Atteggiamento

Coinvolgimento

Distacco

Pronomi

io, tu

egli

Tempi

verbali

presente, passato prossimo, futuro semplice

passato remoto, imperfetto, condizionale…

Avverbi, aggettivi…

Deittici (adesso, questo, ieri, qua, là…) avverbi, aggettivi, pronomi:   segnalano le coordinate della situazione comunicativa che si suppone condivisa dagli interlocutori

 

 

Oggi io qui vi dico queste cose

Il pomeriggio del 3 maggio del 2012 Remo Cacciatori parlava dell’uso del passato remoto a un gruppo di iscritti al corso di scrittura creativa, che si teneva presso la Biblioteca del quartiere Bovisa

 
 

Creare primo piano e sfondo con i tempi verbali

 

EMILIO SALGARI

 

LE TIGRI DI MOMPRACEM

 
I PIRATI DI MOMPRACEM


La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.

Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell'isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s'urtavano disordinatamente e s'infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi ed ora interminabili delle folgori.

Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell'isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, né sotto i boschi, né sulla tumultuosa superficie del mare, si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un'altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi, due finestre vivamente illuminate.

Chi mai vegliava in quell'ora e con simile bufera, nell'isola dei sanguinari pirati?

Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati, presso i quali scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna s'innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa, con nel mezzo una testa di tigre.

Una stanza di quell'abitazione è illuminata, le pareti sonocoperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran pregio, ma qua e là sgualciti, strappati e macchiati, e il pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia, sfolgoranti d'oro, ma anche questi lacerati e imbrattati.

Nel mezzo sta un tavolo d'ebano, intarsiato di madreperla e adorno di fregi d'argento, carico di bottiglie e di bicchieri del più raro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d'oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri, contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylan, di smeraldi, di rubini e di diamanti che scintillano come tanti soli, sotto i riflessi di una lampada dorata sospesa al soffitto.

In un canto sta un divano turco colle frange qua e là strappate; in un altro un armonium di ebano colla tastiera sfregiata e all'ingiro, in una confusione indescrivibile, stanno sparsi tappeti arrotolati, splendide vesti, quadri dovuti forse a celebri pennelli, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane rabescate, tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali, pistole.

In quella stanza così stranamente arredata, un uomo staseduto su una poltrona zoppicante: èdi statura alta, slanciata, dalla muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri e d'una bellezza strana.

Lunghi capelli gli cadono sugli omeri: una barba nerissima gli incornicia il volto leggermente abbronzato.

Ha la fronte ampia, ombreggiata da due stupende sopracciglia dall'ardita arcata, una bocca piccola che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due occhi nerissimi, d'un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi altro sguardo.

Era seduto da alcuni minuti, collo sguardo fisso sulla lampada, colle mani chiuse nervosamente attorno alla ricca scimitarra, che gli pendeva da una larga fascia di seta rossa, stretta attorno ad una casacca di velluto azzurro a fregi d'oro. Uno scroscio formidabile, che scosse la gran capanna fino alle fondamenta, lo strappò bruscamente da quella immobilità. Si gettò indietro i lunghi e inanellati capelli, si assicurò sul capo il turbante adorno di uno splendido diamante, grosso quanto una noce, e si alzò di scatto, gettando all'intorno uno sguardo nel quale leggevasi un non so che di tetro e di minaccioso.

-         È mezzanotte - mormorò egli. - Mezzanotte e non è ancora tornato!

da

- imperfetto: l’atmosfera

- presente: in primo piano

- passato remoto: parte l’azione

Domenica alle nove e mezza di sera il telefono suona mentre lui è in cucina con un toast al formaggio in mano e un libro sulla tecnica di costruzione delle piramidi egizie aperto davanti e un disco strumentale di Bo Diddley e Chuck Berry sullo stereo.

A.De Carlo, Pura vita Torino, Einaudi, 2004, p. 3

- assenza di sfondo, come una pagina tutta sottolineata

 

Al culmine del litigio, quando finalmente il marito si decideva a parlare, confessando il proprio desiderio di liberarsi della moglie, questa lo assaliva con un paio di forbici e lo feriva gravemente a un dito.

G.Celati, Storia di un apprendistato in Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1985, p.33

 

A un certo punto, là sotto la pioggia e in mezzo a una strada deserta, le donne sono state prese dal panico. Senza indugiare tornavano verso la casa in cui abitavano assieme al marito della più anziana di loro, il quale era il cugino della più giovane.

G.Celati, Fantasmi a Borgoforte in Narratori delle pianure, Milano, Feltrinelli, 1985, p. 62

- uso colloquiale dell’imperfetto (come in una conversazione o in un verbale di polizia)

 

Qual è la scelta migliore?

Una donna sta seduta sola in casa. Sa che nel mondo non c'è più nessuno: tutti gli altri esseri umani sono morti. Bussano alla porta.
(Thomas Bailey Aldrich, Sola con la sua anima)

 

Mentre il bombardamento faceva a pezzi la trincea di Fossalta, egli se ne stava piatto disteso e sudato e pregava :"Gesù Cristo, tirami fuori di qui. Gesù caro ti prego, tirami fuori. Cristo ti prego, prego, prego, Cristo. Se soltanto mi salvi la vita farò tutto quello che dici. Credo in te e dirò a tutti che sei l'unico che conta. Prego prego prego Gesù". Il cannoneggiamento si spostò più su lungo la linea. Ci mettemmo al lavoro per rifare la trincea e al mattino spuntò il sole e fu una giornata calda, e tranquilla. La notte seguente a Mestre, alla ragazza con la quale andò in camera alla Villa Rossa non disse niente di Gesù. E non disse mai niente a nessuno.

 

E.Hemingway, Capitolo VII, in I quarantanove racconti, Mondadori, Milano, 1985, p. 201

 

Orienatre l’attenzione in avanti o indietro.

L’articolo come cartello stradale del testo

 

Ancora due incipit

 

Ai giorni nostri, ma è inutile precisare l’anno, una sera d’autunno, sull’imbrunire, una barca infangata e dall’aspetto equivoco navigava sul Tamigi fra il ponte di Soutwark, che è in ferro, e quello di Londra, che è in pietra, con due persone a bordo.

Le due persone erano un individuo robusto dalla chioma grigia arruffata e dal volto abbronzato dal sole e una fanciulla bruna di diciannove o vent’anni, che gli rassomigliava talmente da farla riconoscere come sua figlia.

C.Dickens, Il nostro comune amico, Torino, Einaudi, 1982 (1^ ed. 1864-65), p.5

 

Le colline che attraversavano la valle dell’Ebro erano estese e bianche. Da questo lato non c’era ombra né alberi e la stazione sorgeva tra due linee di binari nel sole. Al lato della stazione c’era la calda ombra dell’edificio e una tenda fatta di file di grani di bambù pendeva attraverso la porta aperta del bar per non fare entrare le mosche. L’americano e la ragazza che era con lui sedettero a un tavolino all’ombra, fuori dell’edificio.

H.Hemingway, Colline come elefanti bianchi, in I quarantanove racconti, Milano, Mondadori, 1985 (1^ ed. 1938), p.337

-         articolo indeterminativo (un, una)

-         determinativo (il, la)

-         Una donna sta seduta… /La donna sta seduta…


Esercizi 5.

-         5.1) Prima di produrre il prossimo esercizio-racconto, provare a scrivere almeno alcuni incipit, usando tempi e pronomi diversi…

-         5.2) Proviamo a prendere i testi che si sono scritti e a cambiare tempi e/o pronomi

-         5.3) Proviamo a scrivere un breve racconto al passato remoto e imperfetto. Provare a alternare qualche frase al presente

-         5.4) Proviamo a scrivere un breve testo usando dei deittici (questo, qui, adesso…)

-         5.5) Proviamo a scrivere un breve testo collocandolo alla massima distanza (tempi all’imperfetto, passato remoto, terza persona, quello, allora…)

-         5.6) Raccontiamo un sogno (tutto al presente)

-         5.7) Raccontiamo un sogno (tutto all’imperfetto)

-         5.8) Raccontiamo un sogno (mescolando i tempi verbali)

-         5.9) Proviamo a scrivere un breve testo con un personaggio introdotto dall’articolo determinativo (il, la)

 

gli aggettivi

 

Ancora Salgari

- termini oggettivi: poche, occidentali, nere, numerosi…

- termini soggettivi che esprimono un giudizio di valore: violentissimo, formidabile, furioso, interminabile, tumultuoso… un giudizio negativo: sfondate, cadenti, divelti…

- termini soggettivi che esprimono unaemozione: sinistra

- termini soggettivi che esprimono una valutazione: vasta, solida, grande

 

La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.

Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell'isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s'urtavano disordinatamente e s'infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi ed ora interminabili delle folgori.

Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell'isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, né sotto i boschi, né sulla tumultuosa superficie del mare, si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un'altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi, due finestre vivamente illuminate.

Chi mai vegliava in quell'ora e con simile bufera, nell'isola dei sanguinari pirati?

Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati, presso i quali scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna s'innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa, con nel mezzo una testa di tigre.


-         Nell’Ottocento, il narratore onnisciente guida il lettore usando molti aggettivi e esprimendo giudizi

-         il personaggio “cipolla”. Gobsek di Balzac. Lettura

-         Oggi:

Mi sono fatto un bagno e una camera da letto da re, Armani e Versace e Hugo Boss che non ci stanno più nell’armadio, materasso testato dalla NASA con le micromolle adattanti, televisore Panasonic al plasma da 42 pollici con sistema surround 5.1, vasca da bagno Jacuzzi originale, sistema di abbronzatura multifiltro Super Howitzer certificato CEE… Vacanze a Riccione, Ibiza, Formentera, Malindi, Seychelles. Quattro mondiali di calcio, tre America’s Cup, tre olimpiadi, quattro edizioni del Grande Fratello. Le migliori discoteche dell’Adriatico e delle Baleari, non so quanti ristoranti della guida Michelin e del Gambero Rosso. Cinque fidanzate, due generazioni di Playstation, due Volkswagen Golf, tre di Bmw serie 3, cinque personal computer, sei di telefonini. (A.De Carlo, Giro di vento, Milano, Bompiani, 2004, pp. 240-241)

Esercizi

-         5.10) Proviamo a descrivere un personaggio (inserito o meno in un racconto) solo dai gesti che fa e /o dalle parole che dice, senza usare aggettivi che diano valutazioni o giudizi,

-         5.11) Proviamo a descrivere un personaggio (inserito o meno in un racconto) in base solo agli oggetti che lo circondano (o che indossa)

-         5.12) Nella descrizione di oggetti (inseriti o meno in un racconto) introduciamo, o usiamo esclusivamente, marche di ditte


L’infinito. Fuori dal tempo

 

E adesso dove? Quando? Chi? Senza chiedermelo. Dire io. Senza pensarlo. Chiamarle domande, ipotesi. Procedere innanzi, e, questo, definirlo andare, definirlo procedere.

S.Beckett, L’innominabile, Milano, Mondadori, 1970 (1^ ed. 1960)

 
Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi

Montale

 

PRONOMI

I quattro tu

 

Il tu personaggio di certi romanzi sperimentali, di cui non ci occupiamo

Il tu della memoria

Quando la mamma morì tu avevi venticinque giorni, eri ormai lontano da lei, sul colle. I contadini che ti custodivano ti davano il latte di una mucca pezzata: ne ebbi anch’io una volta che venimmo a trovarti con la nonna. Era un latte denso, tiepido, un po’ acre, mi disgustò: il disgusto fu tale che lo ributtai sporcandomi il vestito: la nonna mi dette uno schiaffo. A te quel latte piaceva, ne eri ghiotto, ti giovava. Eri un bambino bello grasso, biondo, con due grandi occhi celesti. “Il ritratto della salute” diceva la nonna alle inquiline, si asciugava gli occhi eternamente umidi di pianto.

V.Pratolini, Cronaca familiare, Milano, Mondadori, 1967 (1^ ed. 1947), p. 15

 
Il tu polemico

Sono venuto nel tuo paese con il cuore in mano, espulso dal mio, un po’ volontariamente e molto per bisogno. Sono venuto, siamo venuti, per guadagnarci da vivere, per salvaguardare la nostra morte, guadagnare il futuro dei nostri figli, l’avvenire dei nostri anni già stanchi, guadagnarci una posterità che non ci faccia vergognre. Il tuo paese non lo conoscevo. E’ un’immagine, una tazza d’incenso, un miraggio, credo, ma senza sole. Il mio paese, i tuoi padroni lo conoscono bene. Ne hanno coltivato la terra, la migliore, la più fertile; e anche quando la terra opponeva resistenza, quando l’albero resisteva, con metodo, con calma, cominciavano a praticarvi una ferita. La mia terra, come la mia memoria, è vissuta senza catasto. Nubile e tenera. Il sole travagliava i nostri corpi. I nostri ragazzi dovevano lavorare. Non si parlava. Si taceva. L’acqua scorreva nelle nostre vene e vi davamo il sangue.

Tahar Ben Jelloun, Le pareti della solitudine, Torino, Einaudi, 1990 (1^ ed. 1976), p. 35


Il tu rivolto al lettore

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati…

I.Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979, p.3

-         Esercizi

-         5.13) scrivere un racconto usando un tu della memoria

-         5.14) scrivere un racconto usando un tu polemico

-         5.15) scrivere un racconto usando un tu rivolto al lettore


1. punteggiatura
 

G.L.Beccaria, Ritmo e melodia nella prosa italiana. Studi e ricerche sulla prosa d’arte, Firenze, Olschki, 1964


ritmo progressivo: ---, ----------------------------------

Rassegnato, seguiva il corso di scrittura creativa


-                                 ---, ---, ----------------------------

Rassegnato, il giovedì, seguiva il corso di scrittura creativa


-         ritmo regressivo : ---------------------------------, ---

Seguiva il corso di scrittura creativa, rassegnato

 

-                                    : -----------------------------, ---, ---

Seguiva il corso di scrittura creativa, il giovedì, rassegnato

-         ritmo simmetrico: -----, --------------------------, ----

Rassegnato, seguiva il corso di scrittura creativa, il giovedì

                               -----------------, ---, -----------------
I pomeriggi di ogni giovedì, rassegnato, seguiva il corso di scrittura creativa

 

-         ritmo isometrico: ------, -------, -------, --------,

Sempre più rassegnato il giovedì, seguiva il corso di scrittura creativa, nella tragico grigiume della biblioteca


Esercizio

- 5.16) Scrivere un breve testo, Prestando molta attenzione alla cadenza ritmica attraverso l’uso della punteggiatura


SECONDA PARTE

 
Dal conflitto alla complessità

-         Legame tra i due termini

Conflitto.

-         Relazione tra opposti, tra termini contrari, polarità contrapposte

-         Può manifestarsi come scontro, lotta (con conseguente vittoria o sconfitta, come nelle storie d’avventura, nelle fiabe, in certi polizieschi…)

-         Può risolversi in una mediazione, conciliazione

-         Può risolversi in un compromesso

-         Può risolversi in uno stallo, in una attesa

-         Può risolversi in una sintesi, un arricchimento

-         il conflitto può essere interiore (vedi la macchina delle complicazioni)

Resta la complessità (vedi incontro con Monteiro)

-         Insieme di termini incompleti

-         Insieme di termini contrari (l’ossimoro) che creano una contraddizione, una realtà problematica, sfaccettata

 

Macchina delle complicazioni (in prova)

-        Sapere: essere in grado di… essere / fare

-        Volere: desiderare… essere / fare

-        Dovere: obblighi (dover fare, dover essere)

-        Potere: avere i mezzi per… essere / fare

 

-         L’insegnante fa lezione, lo studente sta attento

-         cosa succede se

deve ma non è in grado

vuole ma non è in grado

deve ma non vuole

non deve ma vuole

vuole ma non può

 

Esercizio

5.17) Si provi a fare funzionare la macchina

 
Nei racconti svolti sul conflitto

-         sono emersi:

-         a) conflitto-complessità nei rapporti uomo-uomo (padrone-dipendente) da un punto di vista maschile

-         b) in maggioranza: conflitto-complessità nei rapporti donna-uomo, da un punto di vista femminile

-         c) conflitto-complessità nei rapporti uomo-donna, da un punto di vista maschile

-         d) conflitto-complessità nei rapporti stranieri- italiani

-         e) conflitto-complessità nei rapporti italiani- stranieri


Relazione UOMO - UOMO

 

Il Primo Incontro


Arrivato in ditta al mattino presto trovai un annuncio appeso per me di fronte alla macchinetta per timbrare. “Passare dall’ ufficio del principale questa sera. Urgentemente”. In alto il mio nome e cognome bello grande, in modo esagerato, per richiamare l’attenzione di tutti.

Questa modalità d’annuncio era un brutto segno che conoscevamo: lo facevano sempre quando uno dei dipendenti combinava qualcosa di grave e stava a significare sospensione dal lavoro o addirittura licenziamento.

In tutta la mia storia all’interno della ditta non mi era mai capitato che nessuno richiamasse l’attenzione su di me, né nel bene né nel male. Non avevo mai parlato con il principale neanche quando feci il colloquio d’assunzione.

La giornata andò via come di consueto. Sapevo che non avevo fatto niente di sbagliato, però una strana sensazione mi invadeva nel profondo. Mentre tornavamo alla sera, Rino, un mio collega rumeno mi disse:

- Ma che cosa hai fatto di così grave per metterti un cartello del genere in vista?

- Non lo so, guarda! Risposi, tentando di evitare la conversazione.

- Comunque vada, sappi che noi saremo con te per sostenerti!

- Grazie. Non ti preoccupare, staremo a vedere!

Lasciai tutte le mie cose negli spogliatoi e salii le scale degli uffici. Soltanto all’entrare mi resi conto che ero con dei vestiti pieni di malta: quel giorno avevamo gettato le fondamenta di un piazzale, nel quale poi costruimmo uno dei più bei parchi giochi per bambini della città.

La porta era semi aperta.

– Buona sera! Dissi.

Sollevando lo sguardo lentamente, il capo mi guardò per un attimo per individuarmi. Quando lo fece, iniziò a cambiare faccia.

- Apri bene la porta! E mettiti seduto! Disse con voce forte, mentre spostava indietro la poltrona dove era seduto.

- Preferirei rimanere in piedi. Risposi.

- Mi lanciò uno sguardo di traverso, inclinando un po’ il corpo in avanti.

- Vuoi spiegarmi che cazzo significa questo? Domandò mostrandomi un documento che aveva in mano.

- Che cazzo ti è saltato in mente? Sputi nel piatto dove mangi eh, eh ?

- Prima cosa, a me non mi tratta in questo modo! Se mi vuole parlare, lo faccia educatamente.

- Chi ti credi di essere? Tu sei a casa mia e faccio il cazzo che voglio…. Ma pensa te!

Si mise in piedi, e incominciò a dare pugni sopra la scrivania. Io rimasi immobile intanto che lui continuava a dirmene di tutti i colori. Cercava qualcosa nei cassetti della scrivania; per un attimo pensai che cercasse qualche arma.

- Si calmi, posso spiegare tutto!

Quello che cercava erano gli occhiali, che aveva in tasca nella giacca. Li tirò fuori con le mani che tremavano di rabbia.

- Dai sentiamo! Disse con tono sarcastico.

- Dopo aver parlato con l’ufficio del personale e non aver avuto nessuna risposta in merito, sono andato al sindacato a esporre il mio problema e mi hanno consigliato di farvi una vertenza.

- Questa non è una vertenza! Puttana troia, è una causa legale… cazzo! Mi hanno detto che sei laureato! Perché non usi la tua intelligenza come si deve? Che cazzo sei venuto a fare qui da noi? Ti abbiamo mai rubato qualcosa? Non ti abbiamo pagato? Hai lavorato gratis per me?

- Non ho detto questo! Semplicemente non mi avete riconosciuto per quello che faccio.

- Eh!? Cosa fai, sentiamo.

- Senta, se lei si mette a gridare e non mi lascia parlare come posso spiegarle?

- Tu non hai niente de spiegare. Adesso ti dico io come andrà a finire: rimarrai con il culo per terra e farai una brutta fine! Te lo garantisco Io! Hai commesso il peggiore errore della tua vita!

- Mi sta minacciando? Adesso esco da qui e vado dai carabinieri e faccio una denuncia.

- Cosa…? Chi cazzo credi di essere? A me nessuno si è mai permesso di parlarmi in questo modo! Ma guarda te! Se non ti stava bene, perché non te ne sei andato via?

- Perché dovrei andare via? Questo posto me lo sono guadagnato dopo dieci anni di lavoro. Se non facevo questo, non mi avresti riconosciuto neanche il contratto a tempo indeterminato!

- Eh. Lo so che non ti posso licenziare, però dammi un po’ di tempo e ti faccio fuori! E digli a tutti quelli che sono i tuoi sostenitori psicologici e che l’unica cosa che fanno è metterci il bastone tra le ruote, che li tengo d’occhio!

- Se lei si comporta in questo modo da dittatore, non si arriverà a nessun accordo.

- Eh. E chi ti ha detto che dobbiamo arrivare a un accordo?

La parola “dittatore” fu la goccia che fece traboccare il vaso. Iniziò a maledire tutti e tutto. Mi dissi che potevo essere considerato un essere indegno, che con il mio comportamento mettevo in pericolo la stabilità dei mie colleghi di lavoro, che per lui non era un problema chiudere la ditta.

Lasciai l’ufficio, mentre lui continuava a sbraitare. Ma ero sicuro che avevo fatto la cosa giusta.

Marcelo Vega

 

Esercizio

-         5.18) Proviamo a raccontare una storia di ingiustizia (magari insopportabile, esprimendo la nostra indignazione) ma senza dare giudizi di valore, descrivendo solo i comportamenti, le parole, i gesti, gli oggetti dei personaggi

- 5.19) Per la prossima volta si vada in giro rubando voci (qui,ad esempio Ma pensa te) scrivendo su un taccuino modi di dire, forme gergali, tic linguistici sentiti in giro. Volendo si incominci ad usarli nei racconti

 

Relazione DONNA - UOMO

La relazione raccontata da donne

 

Una mediazione mancata

Non crede che si debba urlare così, con nessuno. Per questo non risponde e lo guarda, senza reagire. Ecco, ora trema tutto e ha la faccia rossa. Non pensava che si potesse provare tanta rabbia per una questione di così poco conto. È vero, si può essere felici senza motivo, o anche tristi, come in una giornata piovosa. Ma rabbiosi... perché? Sembra esplodere. Forse è infelice. Sì, è infelice.

- Non c'è bisogno di arrabbiarsi. Me ne vado, è tutto risolto. Puoi stare da solo, se è quello che vuoi.

Avrebbe dovuto rispondere così. E poi andare via, per sempre. Oppure... oppure no, meglio:

- Devi smetterla, non mi merito tutto questo. Non tratteresti così neanche l'ultimo dei tuoi dipendenti. Sei inguardabile, una vergogna, un rifiuto umano!

Ma si sarebbe arrabbiato ancora di più. E lei, lei si sarebbe richiusa nel suo silenzio, di nuovo. Ormai neanche lo ascoltava, mentre blaterava, spruzzando saliva e pestando i piedi. Neanche piangeva. Restava impassibile e continuava a pensare a cosa dire, a come comportarsi. Ogni possibile soluzione sembrava un'ulteriore minaccia. La sua amica le diceva che quando si ha paura della propria casa si è toccato il fondo. Per lei no, il fondo è non riuscire a rendere felice la persona che si ha accanto. E lui non era felice. Era rabbioso e violento, aveva lasciato la sua umanità da qualche parte, al sicuro. Come quando hai un documento importante e lo riponi in una busta trasparente, in mezzo a un libro, e poi in uno zaino. E poi chiudi lo zaino nell'armadio, in alto, tra le coperte invernali. No, meglio sotto il letto, accanto alle valigie, tra quella nera e quella rossa. Intanto lui continuava a urlare e lei non lo ascoltava, e cercava di capire dove avesse nascosto la sua umanità. Magari con una scala sarebbe riuscita a recuperarla. Doveva ricordarsi di guardare in garage.

Gioia Panzarella

 

Vuole una rosa?

Lui ha quasi diciotto anni.

Lei sessanta.

Sono a cena in una pizzeria rumorosa, dove lui l’ha invitata.

Lei ordina una pizza con tonno e cipolle, buonissima.

Lui una pizza margherita e una coca cola.

Lei sa che lui vuole parlare, raccontare di sé e sfogare le sue pene. L’ha fatto da quando lo conosce, da quando aveva sei anni. Lei lo ama, gli vuole molto bene, conosce le sue fatiche per stare al mondo, per farsi accettare.

Lui è un ragazzone alto, a vederlo pensi che sia uno dei tanti ragazzi di oggi, spaventato ma spavaldo.

Lui non è spavaldo: è solo e ha paura. Paura di perdere, ancora una volta, i suoi genitori, paura di non farsi accettare, paura di sbagliare, paura di non essere all’altezza delle richieste, paura del mondo che verrà e dei suoi inevitabili dolori.

Anche lui la ama. Da quando aveva sei anni.

Mangiano e lei riesce a farlo ridere, come sempre. Prova a raccontare un po’ di sé, ma torna indietro appena vede che lui si preoccupa troppo per lei: non vuole aggiungere pene ad altre pene.

Gli dà consigli, suggerimenti, lo tranquillizza e ridono.

Poi escono e fanno una lunga passeggiata, sottobraccio.

Lei è contenta di girare con un bel ragazzo, si pavoneggia, forse ha bevuto un po’ di birra in più o semplicemente sta bene.

Lei ha tanti dolori da reggere, ma questa sera con lui sta bene: è con il suo ragazzo, contento anche lui di essere fuori, in giro.

Lei lo spinge a trovarsi una ragazza e lui le racconta i suoi tentativi un po’ falliti. Allora lei inizia a escogitare trucchi e stratagemmi per insegnargli come abbordare le fanciulle e ridono per strada, provando e simulando.

Lei lo protegge, ma vuole che vada via libero.

Si avvicina un filippino con un grande mazzo di rose: vuole vendere i suoi fiori. Forse pensa che lui sia il figlio o l’amante giovane di una signora un po’ grande che cerca compagnia oppure non pensa nulla. Un uomo e una donna insieme sono sufficienti perché si possa pensare che lui debba comprare un fiore a lei.

Insiste, insegue, chiede, invita “Vuole una rosa?”

Loro sono infastiditi, lei è imbarazzata e lui quasi arrabbiato.

Forse non ci voleva un estraneo che interrompesse l’armonia dell’incontro.

Cercano di allontanarsi, ma vengono inseguiti. L’altro ha intravisto la possibilità di una resa e nonostante i rifiuti, continua. Quale lotta per avere pochi euro! Quale storia dietro una rosa! Il filippino (forse indonesiano o pakistano o indiano o di Giakarta) è comunque insistente, refrattario ai rifiuti. Ha allenamenti di ore, di giorni e mesi. Ben altro ha dovuto sopportare per arrivare lì di fronte a questi due che ridono e vogliono scappare. Che sanno loro del suo viaggio, delle persone che ha lasciato, degli abusi e delle burocrazie che gli spezzano il sonno? “Scusi vuole una rosa?”

Lei che invece sa o immagina di sapere, vorrebbe fermarsi.

Allora succede qualche cosa: lui si ferma e con fare da giovane uomo dice” Io adesso ti dò un soldo, ma lasciaci in pace"! Lo so che lavori ma mi dà fastidio averti dietro, ti dò il soldo, ma vai”.

E succede qualche cosa: un incontro.

Lei capisce che lui comunque è cresciuto, ha affrontato una situazione con fermezza, ma con rispetto. E il filippino sorride, prende il soldo e offre una rosa, comunque. Lei, orgogliosa del suo ragazzo, accetta la rosa.

E’ stata la parola “soldo” che ha svelato la gioventù ancora impreparata di lui, ma la possibilità del suo futuro. Il filippino si allontana pago del soldo.

Lui parla, lei pensa che lui ha sempre avuto problemi con la matematica.

Lei lo sa bene: quando lui era piccolo lei è stata la sua maestra.

 

Peppa Silicati

 

Esercizi

- 5. 20) Proviamo a raccontare un amore anomalo, una relazione asimmetrica (per differenza di età, culture, salute, gusti…)

- 5.21) Anche la differenza Maschile/Femminile non è così scontata. Ci sono situazioni contraddittorie, problematiche di unione nella stessa persona dei due termini contrari (uomo e donna, come nei transessuali) o di unione dei due sub-contrari (non uomo e non donna, come negli angeli). Prova a farci una storia

cfr. T.Ben Jelloun, Creatura di sabbia, Torino, Einaudi, 1987

 

UNA STORIA INTERESSANTE

 

Caspita! Mi sono chiesta: ma la mia bellissima storia, fatta di amore, complicità, amicizia è così poco interessante? Sono l’invidia di amiche e sorelle, sono tranquilla e felice,ma... non ci posso nemmeno scrivere un racconto!

E allora diamoci da fare, rendiamola piccante e mettiamoci del sale.

Eccolo..arriva in ritardo, non è strano, capita spesso, ma questa volta decido di fare una piccola sceneggiata:

Tu mi trascuri..., vengo dopo un mare di altre cose... A che punto sono nella scala delle tue priorità?

Anzi, se devo proprio essere onesta, mi sono stancata anche del cibo poco curato che mi prepari. Ssembra tu lo faccia solo per dovere. E che dire del modo frettoloso con cui mi stiri le camicette? Se non ti va più dillo apertamente. Per non parlare del tuo essere così tollerante... devo pensare che hai qualcosa da farti perdonare? E non guardarmi con quegli occhi stralunati! Non sono mica diventata pazza... sto cercando di dare un po’ di sapore alla nostra bella, o meglio quasi bella, o meglio ancora, piuttosto mediocre storia.

Suvvia! un po’ di sano conflitto renderà più intrigante e meno banale la nostra vita.

E via così...se vuoi ti elenco tutto ciò che non va; quello che vorrei da te; smetto di pensare in positivo a noi e divento una normale compagna un po’ insoddisfatta. Che te ne pare?

Perché continui a fissarmi così? Di’ qualcosa! C’è qualcosa che non ti convince? Ehi!

  perché esci? Dove vai? Dai sù! Torna indietro, non capisci che stiamo per diventare finalmente protagonisti di un bel racconto interessante?

Fiorella Pirola

 

Relazione UOMO - DONNA

la relazione raccontata da uomini

 

La Stazione Centrale di Milano è piena di binari. E’ un luogo in cui transitano persone di molte nazionalità, per prendere il treno, per viaggiare verso diverse città, a volte per lavoro, vacanza, ferie, per visitare la famiglia e così via.

Milano è una città molto importante dell’Italia, visitata da molti turisti, soprattutto al Duomo, al Castello, a Cairoli, posti per i quali è bello rimanere in Italia, perché ci permettono di conoscere amici di molte nazionalità, scambiare opinioni, idee, raccontarsi esperienze della cultura di molti paesi.

Una volta, al lavoro, un capo gridava urlando contro tutto il personale. Non diceva una parola a nessuno di noi, ma urlava contro tutti. Però una volta l’ho visto in un mercato con sua moglie. In quel momento la moglie era la direttrice, perché era lei a gridare contro di lui, mentre lui la ascoltava senza dire una parola. Lei era la capa.

Mi ha ricordato un generale dell’esercito, uguale, che gridava in caserma, mentre in casa la moglie era la generala.

Ayala ObregonVictor

 

La balera

 

Il salone è pieno di gente, chi sta in piedi, chi seduto, chi balla, chi sta suonando e chi canta. Insomma, tutti sono impegnati. Io solo sto lì come un albero, fisso, immobile, incredulo e stupito: ma come fanno tutti questi a ballare così bene, con leggerezza, con armonia, coi passi giusti senza sbagliare, senza inciampare, senza cadere?

Io vorrei tanto provarci, ma... non so nemmeno cosa stanno suonando. E nemmeno so come si fa e non conosco nessuno che può aiutarmi.

Tutti conoscono tutti, solo io sono un cane senza collare. Cosa faccio? Rinuncio? Esco e vado a casa? O al solito bar di Gino a vedere le solite facce? Ma no, dai, aspetta un attimo, magari....

Ma quella è Marisa, la figlia del custode. Con lei ho confidenza, la vedo tutti i giorni, ci salutiamo sempre con un sorriso, penso di esserle persino simpatico. Ed è sola!

Forse se mi avvicino, la saluto, le offro da bere qualcosa al bar, dopo magari mi insegna a ballare.

Cosa faccio? Vado o non vado? Ma sì. Tanto al massimo mi dice: no, grazie e arrivederci.

Ecco, mi sto avvicinando, è a un metro, sono lì con la bocca aperta per salutarla e la mano pronta a stringere la sua, che, porca vacca, ecco... un marcantonio di quasi due metri spunta dal nulla, con un corpo che sembra un armadio a due ante, un sorriso da pubblicità in TV, due spalle larghe come la cordigliera delle Ande, due occhi che se ti guardano male ti sotterrano vivo, arriva e in un soffio la prende sottobraccio, la stringe a sè e la bacia sulla bocca. Sulla bocca? In mezzo a tutta questa gente? Che sfrontato! Ai miei tempi non si usava così. Ti buttavano fuori subito dal locale con insulti e minacce, altrochè.

Va bene, ho capito. Il ballo non fa per me. Me ne vado. Sissignori, me ne vado.

Sarà ancora aperto il bar di Gino?

 

Pierre

 

Prurito

Ogni volta che Diego passava davanti al bar della Fontana avvertiva uno strano formicolio pervadere il suo corpo.

Era una sensazione piuttosto sgradevole, fastidiosa al punto che cedeva quasi sempre alla tentazione di grattarsi furiosamente.

Questo senso di disagio sembrava localizzato in ogni cellula del suo organismo e la cosa lo metteva in una situazione molto seccante, perché l’istinto irrefrenabile di strofinare freneticamente ogni parte della proprio persona era piuttosto imbarazzante.

Verrebbe spontaneo pensare, perché non cambia strada dato che in effetti il tragitto dal garage alla propria abitazione si allungava percorrendo quel tratto di via?

Il motivo c’era, eccome se c’era.

Si chiamava Joceline.

Era una ragazza mora dai lunghi capelli ondulati e corvini che a Diego piaceva da impazzire.

Vendeva articoli da regalo e svolgeva la sua attività in un piccolo negozio adiacente al bar della Fontana.

Purtroppo a causa di quel maledetto inconveniente (la grattarola) non era mai riuscito ad attirare la sua attenzione.

Ad essere sinceri l’attenzione l’aveva attirata fin troppo,

Non capita tutti i giorni di vedere un tipo brufoloso e goffo che si gratta come uno scimmione tarantolato essere inseguito da un’orda di ragazzini schiamazzanti, il tutto accompagnato da un rossore cardinalizio che dilagava inclemente sul suo volto in balia di ogni sorta di tic.

Che speranza poteva avere quello che ormai era diventato lo zimbello del rione di aver successo con la bella Joceline ?

Aveva provato con ogni tipo di pomata.

Nessun farmaco riusciva a risolvere quello che era ormai diventato l’incubo della sua esistenza.

Si era inutilmente sottoposto ad ogni tipo di esame, niente da fare.

Come ultima spiaggia rimaneva una sola cosa da tentare, sperare nel miracolo portentoso quanto poco probabile di un mago.

Trovarne uno non sarebbe stato un problema, non c’era che l’imbarazzo della scelta.

L’idea non gli andava molto a genio, Diego non credeva a quel genere di cose, ma, la situazione era ormai diventata insostenibile e, piuttosto riluttante si mise alla ricerca di un guru in grado di risolvergli il problema.

Fu allora che iniziò il suo vero calvario.

EROTAFFURT, OCCORAT, AMETANA, ALLEY, ODOOW, ARUTAGERF per citarne alcuni.

Nomi altisonanti a cui fecero seguito raggiri e fregature a dir poco mortificanti.

Gli improduttivi espedienti suggeriti e purtroppo messi in pratica da quella che potremmo definire un’associazione a delinquere ebbero come unico risultato quello di    

peggiorare fisicamente e moralmente la sua situazione.

Nel giro di pochissime settimane il suo stato fisico ma sopratutto psicologico si stava ormai avviando inesorabilmente verso un punto di non ritorno.

Come ciliegina sulla torta, dato che le disgrazie viaggiano sempre in compagnia, anche le sue finanze a causa delle parcelle piuttosto pepate di quei farabutti ciarlatani cominciarono a dare segni di squilibrio.

Non parliamo dell’aspetto fisico.

A causa di cataplasmi e pozioni di dubbia provenienza il suo povero corpo si ricopriva sempre più di vescicole e pustole maleodoranti.

Diego puzzava come un dromedario sudato alle due del pomeriggio..

Il prurito iniziale era diventato un lontano ricordo.

Se prima faceva ridere tutti quelli che lo incrociavano ora spaventava i bambini che non lo rincorrevano più sbellicanti, ma si rifugiavano intimoriti fra le gonne delle madri.

Un improvvisato comitato di quartiere propose perfino di instaurare delle ronde da posizionare nei punti caldi, asili nido e scuole elementari.

Ci fu qualcuno che ritenne persino opportuno l’intervento della Protezione Civile

Il fatto era che il nostro eroe, nonostante il mondo gli stesse crollando addosso, si ostinava a passare davanti al negozio della sua adorata tutti i giorni e, sbirciando all’interno, sperava di incrociare il suo sguardo nella illusione di un riscontro positivo.

Più passavano i giorni più la situazione assumeva aspetti tragicomici.

Infatti, se i primi giorni, quando i loro sguardi si incrociavano, trapelavano timidi ed ammiccanti sorrisi di intesa, purtroppo, col passare del tempo, si trasformavano gradualmente in risatine, sghignazzi, sberleffi e fragorose risate evolvendosi infine in disgusto e paura misto a quello che si potrebbe tranquillamente chiamare terrore.

Ma il peggio era in agguato e da lì a poco si sarebbe manifestato in tutta la sua devastante mostruosità.

Come tutte le cose spiacevoli e negative iniziò in sordina.

Lui, inconsapevole, era perseguitato non dal destino ma da una diabolica macchinazione ordita a sua insaputa. Lui non era vittima del dal fato ma di quello che fin dalla sua adolescenza aveva considerato un amico.

Giuseppe Piccolo detto il Beppe.

Bello, ricco, sufficientemente antipatico ma in compenso parecchio pirla.

L’esatto opposto di Diego.

Ma sfortunatamente per il nostro prode ma sfigato Diego invaghito morbosamente e respinto della bella Joceline.

Applicando la regola aurea “in amore nessuna pietà niente prigionieri” Beppe non esitò un solo istante a mettere in pratica un diabolico piano per sbarazzarsi dell’ignaro rivale.

Venuto a conoscenza dei problemi dell’amico approfittando della situazione e sfruttando la loro antica confidenza si prodigò per aiutarlo.

Lo convinse del fatto che il suo carattere bonario e accondiscendente lo aveva esposto ai subdoli raggiri di personaggi loschi e scellerati, ovvero maghi da quattro soldi a cui si era rivolto.

Ora tutto sarebbe cambiato.

Ci avrebbe pensato lui, il suo caro amico Beppe a risolvere in maniera definitiva tutti i suoi problemi.

MAGO ADREM al secolo Vincenzo Cannizzo.

Ecco la soluzione!

Colui che avrebbe in maniera definitiva azzerato tutte le negatività accumulate negli ultimi tempi.

Sfortunatamente Adrem, il mago, essendo debitore nei confronti del Beppe fu costretto ad esercitare in maniera poco ortodossa la sua chiamiamola missione.

“Lui ti condurrà fuori dal tunnel”

“E’ molto in gamba sa il fatto suo”

“Ha risolto positivamente casi molto più complicati del tuo”

Queste ed altre forme di lavaggio del cervello sapientemente architettate dai due compari convinsero Diego ad accettare i consigli dei due furfanti.

Gradualmente e subdolamente convinsero la loro vittima che stava perdendo il suo tempo dietro a una che non meritava tutto l’interesse che lui le attribuiva.

Gli fecero credere che la ragazza oltre che non nutrire nessun interesse nei suoi confronti lo snobbasse e provasse un gran gusto ad ignorarlo.

Al fine di rendere ciò credibile addussero prove inconfutabili basate su testimonianze di persone di cui loro avevano la massima fiducia e notoriamente attendibili.

Niente di più falso.

In realtà Joceline nel profondo del suo cuore pur non ammettendolo pensava che quello squinternato ragazzo alla fine con qualche ritocco forse non era come appariva.

Certo ultimamente l’aspetto non era molto promettente.

Il suo istinto femminile e materno,sentiva che sotto quelle apparenze decisamente negative si nascondeva una ben diversa realtà.

Purtroppo i giochi erano ormai fatti.

Diego profondamente amareggiato e a questo punto incapace di reagire si lasciò completamente andare alla deriva.

A nulla valsero i tentativi delle poche persone che credevano ancora in lui di farlo rientrare nel mondo reale.

Fu allora che intravide in fondo al tunnel, quel tunnel dove chi credeva un amico lo aveva fatto precipitare finalmente la pace e la serenità tanto agognata.

Una sagoma bianca si stava avvicinando senza fretta verso di lui.

Lentamente prese forma una figura imponente vestita di bianco che raggiuntolo gli appoggiò delicatamente una mano sulla spalla pilotandolo dolcemente verso un mondo privo di ogni forma di bruttura.

Questo vide Diego.

Non si curò minimamente di quello che videro gli altri.

Una corpulenta infermiera che camminava al fianco di un’esile figura provata nel corpo e nello spirito ma finalmente felice

 
FINE

Nella vita c’è sempre una seconda versione.

Non è detto però che sia migliore della prima…

 

Indubbiamente il marchingegno ideato da Diego allo scopo di svegliarlo in tempo utile e consentirgli di presentarsi al lavoro in orario, evitandogli l’ennesimo richiamo scritto, funzionava.

Luci psichedeliche,sirene urlanti e irroratori automatici di essenze pestilenziali avevano come unico scopo quello di buttarlo giù dal letto.

Giuseppe Piccolo,il caporeparto,che s’incazzava come una belva ogni volta che Diego lo chiamava Emmerdeur (rompiballe) per via della moglie francese, gli aveva dato l’ultimatum.

Se si fosse presentato ancora una volta in ritardo non lo avrebbe più coperto con il capo del personale, il dott. Vincenzo Cannizzo, soprannominato dalle maestranze “la merda” al fine di fargli appioppare, una multa o ancor peggio una sospensione.

Ma non era come pensate voi

Se qualcuno di voi crede che Diego ha messo la testa a posto lo devo informare che sta prendendo un grosso abbaglio.

Il motivo di tanto zelo stava nel fatto che quella mattina la sua vita sarebbe radicalmente cambiata.

Non doveva assolutamente perdere l’aereo.

Aveva in tasca due biglietti di solo andata per il sud America.

Destinazione Puerto Escondido.

Lontano da tutto e da tutti.

In particolare dall’Emmerdeur.

Il taxi pazientemente aspettò l’arrivo del secondo passeggero

Una francese dai lunghi capelli ondulati e corvini.

 

…..dipende dai punti di vista.

Gianni


 

Relazione STRANIERI - ITALIANI

 

Il sassolino è liscio, di color grigio chiaro. Ha una forma ovale, quasi perfetta. Il buco si trova vicino alla parte più sottile, anch’esso quasi perfetto. Sembra emanare luce.

Lei lo tiene nelle sue mani segnate dal tempo, lo accarezza colle ditta.

Perfezione e imperfezione del tempo.

-          Come hai fatto il buco?

-          Non sono stata io, l’ha fatto il mare.

-          Davvero?!

-          Sì. Migliaia di anni fa c’era qui una intrusione di un materiale diverso. Magari un artiglio di un piccolo dinosauro fossilizzato. Magari un minerale prezioso o un filone d’oro. Non lo sapremo mai. Il mare ha tolto questa sostanza e così si è preso anche il suo segreto…

Lei accetta la spiegazione affascinata, incuriosita, con la fiducia di una bambina.

-          E l’hai trovato proprio oggi?

-          Sì. E’ il dono del mare per il nostro addio.

-          E dici che porta fortuna?

-          Sì. E protegge anche dal male, come un amuleto. Fra poco sarà guarita, camminerà da sola. Ne sono sicura,

-          Se ci sarò ancora… Speriamo

Sì, cara signora Ernestina, speriamo

 

Borowiec Bogumila Katarzyna (Caterina)
 

La struttura massiccia dello stadio domina la prospettiva. Lì vicino allo si trova un piccolo ospedale con i suoi ambulatori e il centro di riabilitazione. Accanto c’è anche una cappella. E’ il mondo degli anziani, con la loro fragilità e debolezza.

Quasi davanti alla cappella c’è la fermata dell’autobus. Dalla parte opposta della strada si possonovedere un negozio e due bar. Uno si chiama “Il tifoso goloso”. E’ proprio lì, alla fermata dell’autobus, che l’odore è fortissimo. Acido, pungente, soffocante domina tutto lo spazio. Non si può scappare, penetra i polmoni ad ogni respiro. E’ inconfondibile. Non bisogna neanche guardare il muro di recinzione o il marciapiede.

Due spazi, due mondi. Gioventù spensierata, arrogante, spietata.

La invasione senza invasione e la violenza senza violenza.


Borowiec Bogumila Katarzyna (Caterina)

l’arbero dei rosari 

Mi ha detto “ Zia, sembri preoccupata’’

L’ho guardato con un sorriso triste…. “Questo mese mi hanno tolto un polmone”.

Mi ha guardato con faccia pallida “… è … è una cosa preoccupante”.

“Non devi essere preso dal panico, non è il cancro, almeno non ancora”.


Si chiama zanzalakht in arabo, o melia azedarach: è l’arbero dei rosari.

L’hanno tolto dalle sue radici.

Non capisco: dicono una cosa e ne fanno un’altra.

Dicono che gli alberi sono il polmone delle città, e continuano a tagliarli.

Ha portato il mio dondolio e quello di mia sorella, ed ogni singola ragazza del quartiere ...

Era così generoso, ha dato gioia a tutti noi senza chiedere niente in ritorno.

“Ci vediamo, nipotino”.

 
Non riesco a respirare …. Non è il cancro, è vero.

E’ molto, molto peggio.

 

Inaya Al Karout


23 aprile 1992, 23 aprile 2012

Sono passati venti anni da quel 23 aprile del ’92, quando sono arrivata in Italia. Italia! Viveva solo nei miei sogni e adesso era realtà.

Italia! Bella, bellissima, prosperosa, con tanta storia interessante da conoscere, da vedere e da imparare; per prima cosa ” la lingua”.

Milano, primo posto dove ho soggiornato, con i suoi muri senza calore, senza colore. Era un pomeriggio, freddo,molto triste per me, che avevo il cuore spezzato, lontana dai miei cari.

Il soffio gelato del vento di quel pomeriggio colpì il mio viso e mi svegliai, mi resi conto che ero dall’altra parte del mondo. Milano fredda, molto fredda come il cemento.

Duomo, maestoso, imponente, ma... freddo, circondato da tante costruzioni e galleria, tutto cemento.... fredda. La gente ti passa accanto e non ti vede, non ti sente, ognuno va per conto suo. Che dispiacere... che solitudine.

Milano, una gabbia d’oro, come la chiamavo io allora, c’era lavoro, c’erano i soldi, c’era tutto il benessere, ma... mancava qualcosa necessario all’uomo: l’amicizia e la fratellanza.

Quante lacrime versate, quante notti in bianco senza dormire in un buio totale, in attesa di rivedere i miei cari.

Ne ho passate di tutti i colori, ma sono ancora qui e in questo tempo ho perso delle persone a cui volevo tanto bene, ne ho conosciute tante altre buone e cattive, vado avanti e dico “ ma sono ancora qui”.

Tanta gente muore, tanti bambini nascono. Milano è cambiata, come è diventata moderna, elegante... le persone amichevoli, più aperte, sorridono.

Adesso possiamo condividere le nostre vicissitudini, le nostre gioie e tristezze, interagire con la nostra cultura, parlare delle nostre vite, abitudini, cibo e tanti altri temi.

Grazie Milano. Sei da tanto tempo casa mia con tutti i tuoi difetti e pregi, mi hai dato tante opportunità di continuare a vivere con la mia famiglia.

Posso dire ancora...sono qui in Italia! Milano! Come siete belle, bellissime.
 

Griselda Flores


Cantante in metrò

Chissà quando è cominciata l’abitudine di fare un po’ di “spettacolo” nei vagoni del metrò, per guadagnarequalche spicciolo. C’è chi canta e chi suona uno strumento musicale; chi fa da solo e chi in un gruppo. Gli strumenti sono vecchi, sporchi e rovinati. C’è anche un bambino che ha un tamburello con la pelle tenuta insieme dal nastro adesivo. I brani che vengono eseguiti sono quasi sempre “O sole mio” e “Marcia alla turca ”, tranne intorno a Natale, quando si sentono di più “Jingle bells” e “Astro del ciel”. Si vede che gli “esecutori” lo fanno più per abitudine, per routine, che per un credo sincero nella musica. Riescono a suonare chiacchierando o cercando intorno qualcuno che abbia l’intenzione di offrire una monetina. La “Marcia alla turca” viene eseguita in mille modi stonati, con errori di note, di ritmo o, addirittura, con qualche nota mancante. Quando mi capita di assistere a queste situazioni, cerco di cambiare posto per evitare fastidio alle mie orecchie, così ben educate dagli esercizi dei miei insegnanti. Raramente capitache ci siano una o uno che suonano bene. Allora anch’io gli dò un paio di euro per ringraziarlo del piacere che mi ha dato.

 
Tra loro c’è una ragazza che non riesco a dimenticare dalla prima volta che l’ho sentita. Non posso dire che abbia una bella voce e neanche una buona tecnica di canto. Neppure, ovviamente, che abbia abiti belli e un bello strumento; inoltre il suo amplificatore è pieno di nastro adesivo. Però, quello che mi ha colpito è il suo modo di eseguire: ha sempre un bel sorriso sulle labbra e due occhi che brillano. Mentre canta, cerca lo sguardo dei passeggeri per comunicare. Quando lo trova, li guarda direttamente e con qualche piccolo movimento del sopracciglio, canta come se stesse facendo una conversazione con loro; guarda caso, io sto cercando d’insegnare la stessa cosa ai miei allievi! Quando lei non riesce a trovare una compagnia per “chiacchierare”, canta verso l’aria e lo sguardo mira molto lontano, come se fosse su un vero palcoscenico di un grande teatro. “Bessame, bessame muccio…”: la vibrazione della sua voce è molto calda e i suoi sorrisi sono così dolci; gli occhi scintillano e ti fanno venir voglia di chiederle a chi sta mandando il suo sentimento. Dopo l’interpretazione, lei, come tutti quello che fanno questo tipo di “lavoro”, tira fuori un cartoccio bianco dalla tasca e ci mette la mano in mezzo. In due secondi quell’aggeggio torna ad essere un bicchiere di Mc Donald’s. Passando da un passeggero all’altro, con la voce bassa e dolce, dice: “Per favore, un piccolo aiuto…” Sulle sue labbra c’è ancora quel sorriso. Quando riceve qualche monetina, guarda il donatore e, non solamente con la parola ma anche con la luce degli occhi, muovendo le sopracciglia, dice: “Grazie di cuore” e poi cambia il vagone e ricomincia il suo canto dolce, il suo sorriso, la sua conversazione…

Quasi tutti i musicisti, la prima volta che si esibiscono davanti al pubblico, magari accompagnati da uno o più strumentisti e nonostante i begli abiti e l’ambiente di lusso, hanno un’ immensa paura: non sanno dove posare le mani, dove possono guardare e soprattutto, non sanno che cosa stanno cantando, ovvero che cosa significa il testo.

Guardando il sorriso e la luce degli occhi di questa ragazza, e soprattutto quelle poche monetine in fondo al suo bicchiere di carta, io penso che sia molto coraggiosa!


Dan Shen

 

Addio alla mia gioventù

Ancora 3 fermate d’autobus e arriverò alla II° scuola superiore della città.

 

Ho frequentato questa scuola dai 12 ai 17 anni. E’ una scuola come tutte le altre: un ingresso gigante che permette di entrare a duemila ragazzi in 15 minuti, un salone d’incontro enorme con un palcoscenico, due palazzi di cemento pieni di aule, cinquepiani senza ascensore e alcune casette intorno, che sono le abitazioni di qualche insegnante. Una cosa particolare che rende questa scuola famosa e ha reso la mia gioventù felice è che possiede un campo sportivo regolare: 400 metri di pista per correre, con in mezzo un vero campo di calcio. Intorno c’è anche la zona per la ginnastica, con tutti i tipi di attrezzi, e quella per il basket e il volley. Proprio per questo, nella nostra scuola, tutti gli anni c’erano le gare importanti della città e della provincia. E noi, sentendoci i “padroni”, facevamo tanto esercizio per essere migliori dei nostri ospiti.

 

Ancora 2 fermate.

 

Oggi ci vado perché ho un appuntamento con i miei ex-compagni di scuola. Eravamo una dozzina di amici della stessa classe. Oltre che studiare otto ore al giorno insieme, facevamo anche spettacoli e esercizi di vari sport. Siccome ad alcuni non potevo partecipare, per esempio il basket, allora facevo il capitano dei tifosi e urlavo a squarciagola: “Forza ragazzi! La nostra classe è la migliore!!!” Che bel momento. Da quando non abito più in questa città, tutte le volte che ci torno, vado a visitare il campo sportivo con i miei ex-compagni.

 

Ancora una fermata!

 

Guarda: la sala da tè Profumo di montagna! Mi sembra di vederci ancora lì seduti a chiacchierare e chiacchierare. Negozio di caramelle! Chissà se c’è ancora quel tipo che mi piaceva tanto. Fruttivendolo! Era il mio negozio preferito. Ci si poteva trovare almeno dieci tipi di noccioline. Che bontà! E il boschetto? Qui deve esserci un boschetto! Quanti incontri segreti abbiamo avuto lì dentro! Quante volte abbiamo giocato a “I buoni e i cattivi”! E quante volte abbiamo studiato alla fresca ombra dei suoi alberi. Su un tronco di pino ho anche inciso tutti i nostri nomi e adesso, un grattacielo! Oh, no!

           

Eccomi arrivata. Non conosco più questa fermata: era in una stretta vietta e adesso è su un vialone largo 30 metri. Comunque non è importante: adesso posso finalmente rivedere il mio campo e baciare il suo prato! Ma … forse ho sbagliato la fermata? No, questo palazzo è lo stesso in cui ho frequentato la scuola per 5 anni. Ecco la finestra da cui cercavo di guardare il campo senza essere scoperta dall’insegnante, per sapere se i ragazzi della nostra classe avevano vinto. E quel campo adesso dov’è?

 

- “Hi, ciao DD, come stai? – quanto tempo è passato – Ti ricordi ancora di me?….”

- “Ragazzi, ragazzi, un momento per favore. Dove è andato finire il nostro campo?”

- “E’ sotto i tuoi piedi.”

- “Cosa?”

- “Sì, questa strada. Non lo sai? Il nuovo preside ha venduto il campo a quello che ha costruito questa strada 15 anni fa e lui con quei soldi ha fatto costruire le abitazioni per gli insegnanti.” - “Ma le gare di sport?”

- “Ovviamente non ci sono più.”

- “E i ragazzi di adesso dove fanno la lezione di ginnastica?”

- “Eccoli qua”, mi dice indicando un gruppo di ragazzi che corrono passando davanti a noi.

- “Lezione di ginnastica sulla strada? Oh no! Noi, e anche tanti altri la facevamo su quel campo! ”

           

Siamo andati nella sala da tè per chiacchierare. Ma anche il tè più buono del mondo non riesce a togliermi il cattivo umore. Non riesco a fare nient’altro che ricordare tutti i momenti belli legati a quel campo… Alla fine, ho deciso:

- “Ragazzi, domani andiamo insieme da questo preside e glielo diciamo in faccia che lo odiamo!!! Lui ha venduto la nostra gioventù e la nostra memoria”

 

Dan Shen


Relazione ITALIANI - STRANIERI


Contraddizioni

All’uscita del Penny di Via Carnevali, incontro una signora anziana un po’ zoppicante e carica di borse:

-       Sciura, vuole un passaggio?

-       Grazie stella, approfitto volentieri…

-       Venga, venga!

I quattr’occhi non mi bastano, e all’uscita dal passo carraio inchiodo appena in tempo prima di travolgere sul marciapiede un ragazzo straniero che mi lancia lo sguardo di riprovazione riservato a certe “donne al volante”.

-       Extracomunitario? Accoppalo, accoppalo!

Rimango basita 5 secondi, mentre nella mia testa comincia a prendere forma un comizio anti-Lega, e poi:

-       Senta signora, io non…

-       Ah, ma sono bravi ragazzi, sa?

-       (…)

-       Cara, la ringrazio proprio di cuore! Sa che mio figlio oggi proprio non poteva accompagnarmi, e poi è arrivata lei? L’ha portata la Provvidenza! Dirò una preghiera per lei…

A questo punto, cosa potevo dire? No, grazie, non si disturbi?

 

Più tardi, ripensando all’episodio, riflettevo sulla difficoltà di conciliare la coerenza con la contradditorietà degli esseri umani. Poi, ad ogni istante creiamo un piccolo irripetibile miracolo quando riusciamo a fare incontrare le differenze tra noi con un’operazione alchemica che nessun algoritmo può riprodurre.

 

Ferloni Cristina


Il tempo di un semaforo

Faccio una vita “piena di impegni”: esco la mattina presto (beh, presto…) e torno la sera tardi, dopo essermi macinata 13-14 ore tra lavoro e varie ed eventuali (meno male che esistono le varie ed eventuali).

Di conseguenza, sono sempre di corsa, e perennemente in ritardo. Ma il sabato pomeriggio si apre uno squarcio nella tirannide dell’orologio, squarcio che diventa sempre più grande man mano che avanzo nel weekend, fino a raggiungere la dimensione di una voragine la domenica sera.

E’ proprio quando lo squarcio inizia a formarsi che la incontro, verso le tre del pomeriggio, in Piazzale Lugano.

Di solito arrivo sparata a 100 all’ora, fatalmente inseguita dallo squalo di turno che non tollera, proprio non ce la fa, che alla comparsa del cartello “stop limite 70 km/ora”, quando finisce il Ponte della Ghisolfa, non si scatti immediatamente a una velocità da Formula Uno. Ma io non gliela dò vinta: il mezzo non può competere, certo, ma proprio per questo sarò la paladina delle utilitarie usate del ’95. La mia è una missione, e pur di non obbedire all’ordine “Stai al tuo posto! Largo ai potenti!”, ormai persa nel vortice della paranoia del mio dialogo interiore, sono disposta ad uccidere.

Ma in fondo al serpentone della svolta a sinistra, piccola e indifesa, con in mano la sua spazzolina per pulire i vetri, c’è lei: una ragazza rom, vestita come vorrei vestirmi io se avessi fantasia, infreddolita d’inverno e grondante sudore d’estate.

La prima volta che l’ho avvistata ho pensato squallidamente di darmi alla fuga, cambiando magari corsia all’ultimo momento, oppure facendo astutamente in modo di sgommare allo scattare del giallo. Mentre pensavo questo, in un turbinio di sensi di colpa e di strofe che mi giravano in testa (“i Polacchi non morirono subito, e inginocchiati agli ultimi semafori…”), mi sono ritrovata fatalmente ferma al semaforo, e in una frazione di secondo la mia voce ha deciso di dire un “ciao” anziché un “no, grazie”.

Da allora, ogni sabato pomeriggio o quasi, un tassello in più si aggiunge alla nostra conoscenza reciproca:

-      Dove abiti?

-      E tu che lavoro fai?

-      Quanto tempo! Che fine hai fatto?

-      Aspetto un bambino!!

-      Che bello!! E come va la gravidanza?

-      Bene, e tu hai bambini?

-      No… Sai che ho cambiato lavoro?

-      Sai dove posso fare una visita medica?

-      Ripasso tra mezz’ora e ti lascio il volantino di un’associazione!

-      Ma… e la pancia??

-      E’ nata la bimba!!

-      Che bello!! Ti vedo benissimo… Come stai?

E’ stato strano per me, che non ho certo il dono della sintesi, costringere gli eventi più significativi delle nostre vite nei 30 secondi di un semaforo, a volte qualche secondo in più ma a prezzo di strombazzamenti feroci, di cui ho imparato a ridere anziché lanciare violentissime maledizioni agli strombazzatori: se ne ride lei, posso riderne anch’io…

 

L’ho incontrata ancora, nel parcheggio del Penny di Piazza Schiavone, “uno dei pochi luoghi dove si può bere la birra calda”: ero appena uscita da un blitz, quando mi sento chiamare: “ciao, bella!”. Aveva dovuto rinunciare al semaforo per colpa della pioggia, e finalmente conoscevo la bimba! Siamo rientrate insieme nel Penny, ma questa volta il guardiano ha preteso che gli lasciassi il sacchetto in custodia: ce l’avevo anche prima… Cominciamo bene, ho pensato, e intanto mi sentivo addosso tutti gli sguardi che la mia insignificante persona non aveva mai attratto in nessun blitz da supermercato.

Ma sono stati gentili con lei, contro ogni mia previsione, non so se perché aveva una neonata in braccio, o al fianco me, che ormai chiamano tutti, ahimè, “signora”, oppure perché gli abitanti di Bovisa sono solo un po’ meno peggio degli altri. Chissà.

 

Ferloni Cristina

 

Il velo

-       L’hai vista quella lì?

-       Chi? Quella col chador? Non si può vedere… La costringerà il marito!

-       Ma tu c’hai mai parlato?

-       Io no, figurati, anzi quando entra lei porto via i bambini, che ho paura che si spaventino.

-       Mah, io ci ho parlato un paio di volte: è molto gentile… E poi mia figlia c’ha un debole per il piccolo Omar: sai come sono i bambini…

-       Sarà, ma io non ci riuscirei mai: non saprei dove guardare! Chissà che faccia ha. Magari è brutta!

-       Io veramente una volta l’ho vista senza il velo: è piuttosto bella… e poi si trucca in un modo fantastico!

-       Ma che cavolo si trucca a fare se non la vede nessuno?? Hahaha

-       Mah, a dir la verità volevo appunto chiederle se insegnava anche a me a truccarmi così… con quel kajal lì credo che avrei un’aria molto esotica!

-       Boh, contenta te… Per me dovrebbero tornare tutti a casa loro… Ma tu, Luisa, che ne pensi?

-       Io veramente una volta sono stata a casa sua: sai, dovevo andare a riprendere il Paolo che faceva i compiti con la Jamila… E devo dire che ha una casa piccola ma arredata così bene… con tutti quei tappeti… E poi sono di un’ospitalità… sai che non volevo più andar via?

-       Mah, quasi quasi le dico se viene anche lei alla festa del Luca di sabato prossimo…

-       Boh, io non sono convinta… E poi quello scafandro lì è fuori legge, lo sai?? E se ci becca la polizia? L’antiterrorismo?

-       Ma va’…

Ferloni Cristina


CURIOSITA' SU UN CONFLITTO
Alla fermata dell'autobus n. 86 mi si avvicina una giovane signora con in testa il velo, che mi chiede indicazioni su una certa via.
Non conoscendo bene la zona, le dico che ero dispiaciuta ma non potevo aiutarla.

Mi accorgo, però, che un poco più in là c'è un dipendente dell'ATM, riconoscibile dalla divisa e le suggerisco di rivolgersi a lui così da avere un'informazione precisa.
Colgo sul suo viso una smorfia di disagio, ma non dò peso e insisto perché si faccia aiutare dal tipo dell'ATM.
Un po' delusa e insoddisfatta, si allontana.
Rimango sconcertata e intanto arriva l'autobus.
Per tutto il tragitto i miei pensieri si intrecciano: perché non si è rivolta a lui? Forse non sono stata chiara? Che cosa ha capito?
Improvvisamente mi viene un'intuizione legata all’immagine del velo.
Nella mia mente si insinua subito il pregiudizio: non ci posso credere, ma comincio a pensarlo, che chi porta il velo non possa rivolgersi ad una persona sconosciuta di sesso maschile.
Incuriosita sono spinta dalla voglia di documentarmi, per capire se è una questione di religione, di tradizione o di altro.
Dell’episodio del velo ne parlo con Fiorella, una compagna di corso, che mi consiglia un libro, Porto il velo, adoro i Queen di Sumaya Abdel Qader. Il giorno successivo mi precipito in biblioteca dove sono sicura dell'aiuto di Francesco, il responsabile della biblioteca, che mi conferma che per la mia ricerca il libro consigliatomi è più che esauriente e gentilmente me lo procura.
Inizio a leggerlo e la mia mente piano piano lo divora.
Sulinda, la protagonista, come la signora incontrata alla fermata del bus, porta il velo ed è musulmana. Troverò sicuramente la risposta alla mia domanda: perché la signora si è comportata in quel modo? Era forse vittima, come donna, di un conflitto tra il desiderio di contatti umani, a prescindere dal sesso, e l'imposizione di qualche maschio della famiglia a non avvicinarsi ad altri uomini? Nei dettami del Corano esiste una tale prescrizione?
Man mano che leggo mi rendo conto di non conoscere quasi niente della religione musulmana e quel poco che so lo so a ad un livello elementare, come il tema del Ramadam del mese di digiuno interrotto al tramonto. A malapena sapevo che i musulmani non bevono alcoolici, non mangiano carne di maiale e non fumano.
Ho preso coscienza della mia assoluta ignoranza, leggendo che il velo si mette all'arrivo del primo ciclo mestruale per segnare il passaggio da bambina a donna, che si dovrebbe evitare di partecipare a feste non islamiche e di entrare in un bar, che il matrimonio islamico è un contratto facile da annullare, che il 90% dei musulmani è sunnita e il restante 10% sciita.
Vado pazza per gli antipasti e mi viene l'acquolina in bocca al pensiero della varietà dell'arte culinaria araba con piatti a base di ceci, delle insalate di prezzemolo, grano, pomodori e limone, dei ripieni di foglie di vite con riso.
Non mi sono mai posta, in maniera approfondita, il problema delle prescrizioni di questa religione e scopro che il Corano o Sunna non vieta alle donne di guidare, non le obbliga a vestirsi di nero e coprirsi il viso. Eppure in certi paesi islamici è così. Una contraddizione, ma d'altra parte anche la religione cattolica è piena di contraddizioni. Prendiamo, per esempio, uno dei dieci comandamenti, "non rubare". Ormai in questo periodo è all'ordine del giorno che politici e non rubino senza conoscere la vergogna. Al di là della questione morale, quel che più sconvolge è che la maggior parte di loro, parlo dei politici, si dichiara un buon cattolico.
Riguardo alla cattiva informazione che circola in Italia, prendo atto che Jihad non significa guerra santa ma "sforzo e, in ambito religioso, sforzo sulla via di Dio" inteso come sano impegno quotidiano. Che Fatwa non significa maledizione ma "editto conseguente al parere di un giurista". Insomma se ho capito bene corrisponderebbe a "chi sbaglia paga".
Dalla mia ricerca non ho avuto la risposta che cercavo. Tuttavia la signora con il velo, incontrata per caso, non saprà mai quanto il valore della sua diversità mi abbia aperto una piccolissima finestra (per dirla alla Monteiro Martins Julio) su un mondo a me completamente sconosciuto.

Colombo Angela


 

La festa è terminata, per noi. Dai, andiamo. Ecco la 90. Meno male che non dobbiamo aspettare. Stai crollando dal sonno. Guarda, c'è un posto. Siediti lì.

 

L'ubriaco è davanti, seduto in modo precario sulla poltroncina. Si alza, torna a sedersi. Si rialza, guarda fuori. Forse vuole scendere. Si avvicina alle porte. L'autobus si ferma. Le porte si aprono. Si richiudono. È ancora su. Ci ha ripensato. Torna a sedersi. Si addormenta. Si risveglia. Ora scende. Si guarda intorno. Risale. Si siede e dorme un po'. Intorno l'autobus vive, come sempre. Tutti guardano lo strano tipo come se non lo vedessero. L'ubriaco si riprende, ondeggia cercando di attaccarsi al paletto. Gli manca la presa. Crolla sulla mia gamba. Mi resterà un livido per mesi. Cerco di sollevarlo. Ma è troppo pesante. È inamovibile. Come i passeggeri dell'autobus.

Un ragazzo slavo, vestito di bianco, dal cappellino alle scarpe, pieno di oro, guarda. Inamovibile pure lui, ma solo per un attimo. Subito si avvicina, mi aiuta nel difficile spostamento. Poi scende alla fermata successiva, dopo aver detto qualcosa, meravigliato, a proposito degli italiani che sono tanto bravi a fare le statue di gesso.

Ciccio, guarda. Ecco piazzale Lugano. Siamo arrivati. Un pezzetto di strada a piedi, e siamo a casa.

Manuela Ronchi

 

Mi chiudono, ma sono innocente.

Mi obbligano a stare qui, ad abbassare la testa, a rispondere ai loro ordini, ad avere addosso gli sguardi schifati di quelli degli altri reparti che mi giudicano. Perchè pensano che spacciare sia più dignitoso di rapinare, o altro.

Ma io sono innocente. Cosa ci faccio qui?

Lei era bella, disinibita. Provocante, con quella minigonna uterina, disponibile.

Perché poi si è tirata indietro? Mettiti al mio posto. Saresti riuscito a fermarti, cazzo?

 

Manuela Ronchi

 

Dalla cronaca locale del giornale cittadino

QUINTA RAPINA IN UN ANNO

Nel bar tabaccheria di Giorgio e Anna G. situato a Varese nella centrale via Cavour si può dire che alle rapine siano quasi abituati. Nell’ultimo anno, infatti, i proprietari del locale sono stati vittime di ben cinque tra furti e rapine.

L’ultima giovedì 26 aprile.

Poco dopo le 15 un uomo alto, distinto e ben vestito, è entrato nel negozio e ha chiesto alla titolare un pacchetto di sigarette. Dalla tasca invece del portafoglio ha estratto una pistola e intimato il classico “Fermi tutti, questa è una rapina!” . La signora Anna, incurante del pericolo, ha immediatamente reagito. Ha iniziato a urlare a squarciagola e a lanciare contro il malcapitato rapinatore tutto ciò che aveva sottomano: sigarette, scatole di fiammiferi, bustine di zucchero, tazze, piattini, persino una teiera di acqua calda. I pochi avventori l’hanno subito imitata e tra urla e lanci vari il ladro si è dato alla fuga, dopo aver afferrato al volo una stecca di sigarette.

LA VERSIONE DI ANNA G.

Non mi piace tanto stare al bar nella pausa: c’è poca gente e da quando abbiamo subìto furti e rapine non mi sento tanto sicura. Ma mio marito e il ragazzo del bar devono pure riposare un po’.

Cerco di stare attenta , ma i ladri sono più furbi di noi. Perciò quando giovedì verso le tre è entrato in negozio quel bel signore distinto, elegante non ho avuto nessun sospetto. Era di sicuro italiano, aveva anche una bella voce tipo attore. Mi ha chiesto le sigarette, ha messo la mano in tasca e invece del portafoglio cosa ti tira fuori : una pistola! Va bene che poi i carabinieri hanno detto che, dalla descrizione che ne ho fatto, forse era una scacciacani, ma al momento chi ci pensa ? Questa era la quinta rapina in un anno, capisce? Cinque in un anno! Allora sono andata fuori di testa e ho cominciato a urlare a più non posso. Io sono piccola e magra, ma canto nel coro della chiesa e la voce ce l’ho. Anche troppa , dice mio marito. E mentre urlavo gli lanciavo dietro tutto quello che avevo lì : sigarette, tazzine … Anche i clienti mi hanno aiutato; quello lì alla fine ha preso la porta e se n’è andato con la stecca di sigarette che gli ho tirato dietro. Solo dopo ho pensato al pericolo e ho avuto paura.

LA VERSIONE DEL RAPINATORE

Le cose non sono andate affatto così come dice il giornale o come le racconta la tabaccaia. O meglio, i fatti sono all’incirca quelli che lei ha raccontato, ma cosa ne sa quest’Anna del perché e del per come ?

Innanzitutto è imprecisa : io non sono affatto italiano, sono svizzero. Lo so che tutti pensano che gli svizzeri siano ricchi, ma non è vero. Almeno non tutti. Anche da noi c’è crisi e uno si arrangia come può. E se l’idea di un ladro svizzero vi fa ridere, affari vostri.

Avevo calcolato e previsto tutto ; in questo sì che sono svizzero.

L’ora : intorno alle tre c’è calma nel bar. Troppo tardi per il caffè del dopo pranzo, troppo presto per quello del pomeriggio e per gli aperitivi. Inoltre questo è un bar che lavora tanto di mattina così l’incasso è bello ricco.

Poi è il momento del riposo del barista e del titolare che lascia al banco la moglie. Una biondina piccola e magrolina , una che pensi si spaventerà subito e non reagirà.

Ultima, la posizione del bar con buone vie di fuga. Alla fine questa è stata l’unica cosa vera.

Che ne sapevo io che li avevano già rapinati e che stavano “in campana “?

Quando quella lì ha cominciato a strillare come una gallina a cui stavano tirando il collo, mi è sembrato di sentire mia moglie quando torno tardi la sera o lascio in giro i calzini da lavare. Quando urla non la sopporto proprio. E la tabaccaia sembrava proprio lei o sua sorella gemella. Impossibile sentirla.

E poi lei e i suoi clienti a lanciarmi dietro di tutto; cosa c’entravano loro? Era forse loro l’incasso? Noi svizzeri siamo abituati che ognuno si fa i fatti propri, da noi la privacy è sacra. Qua tutti si impicciano; ho dovuto filar via veloce che se no mi sporcava anche il vestito.

Certo che ho tirato su una stecca di sigarette: me le devo pur ripagare le spese da Mendrisio a Varese. O no?

Marisa Gaggini

 

Si prega di non toccare.

Greta suona il pianoforte. Ma io non sempre capisco quello che fa.

Io invidio quelli che sanno suonare.

La musica è un linguaggio superiore, qualcuno dice universale, io dico solo bello. Così come si usa la parola bello quando non si sanno trovare altre parole per dire perfetto, profondo, eccelso, incommensurabile, inavvicinabile, insomma…bello.

La sua musica è struggente e esaltante, colpisce il cuore.

Di solito mi nascondo dietro una colonna, mi siedo e ascolto per un po’ finché il mio cuore regge. Poi mi allontano e ricomincio a giocare con gli altri, ma la sua musica mi segue languida ma più lontana, meno pericolosa.

Lei ha uno strano rapporto con il suo pianoforte.

Quando suona si sdraia sulla tastiera, si trascina sui tasti, li accarezza, preme la pedaliera con leggerezza per cercare altre sonorità segrete. Produce note e intanto si dimentica del mondo e parla mentre suona. Al suo pianoforte racconta storie, sogni che ha fatto e forse progetti di fuga.

Non so dove vogliono andare e cosa vogliono combinare.

Di giorno suona e di notte dorme sul suo pianoforte. D’estate è facile vederla nuda, d’inverno avvolta in una coperta colorata.

Non mi sembra strano che l’altro giorno abbia messo un cartello sul suo strumento “Si prega di non toccare”.

Qualcuno ha parlato di vendere il suo pianoforte per avere altro denaro per le spese dell’ospedale.

Forse partirà, ma è difficile piegare un mezza coda in una valigia! Si sdraierà su di lui e cercherà di coprirlo, forse nasconderlo.

Per ora ha messo sotto il pianoforte un catino azzurro con due manici e ancora le etichette incollate.

Raccoglierà le sue lacrime e le note vaganti.

Peppa Silicati

  
Esercizi

-         5.1) Prima di produrre il prossimo esercizio-racconto, provare a scrivere almeno alcuni incipit, usando tempi e pronomi diversi…

-         5.2) Proviamo a prendere i testi che si sono scritti e a cambiare tempi e/o pronomi

-         5.3) Proviamo a scrivere un breve racconto al passato remoto e imperfetto. Provare a alternare qualche frase al presente

-         5.4) Proviamo a scrivere un breve testo usando dei deittici (questo, qui, adesso…)

-         5.5) Proviamo a scrivere un breve testo collocandolo alla massima distanza (tempi all’imperfetto, passato remoto, terza persona, quello, allora…)

-         5.6) Raccontiamo un sogno (tutto al presente)

-         5.7) Raccontiamo un sogno (tutto all’imperfetto)

-         5.8) Raccontiamo un sogno (mescolando i tempi verbali)

-         5.9) Proviamo a scrivere un breve testo con un personaggio introdotto dall’articolo determinativo (il, la)

-         5.10) Proviamo a descrivere un personaggio (inserito o meno in un racconto) solo dai gesti che fa e /o dalle parole che dice, senza usare aggettivi che diano valutazioni o giudizi,

-         5.11) Proviamo a descrivere un personaggio (inserito o meno in un racconto) in base solo agli oggetti che lo circondano (o che indossa)

-         5.12) Nella descrizione di oggetti (inseriti o meno in un racconto) introduciamo, o usiamo esclusivamente, marche di ditte

-         5.13) scrivere un racconto usando un tu della memoria

-         5.14) scrivere un racconto usando un tu polemico

-         5.15) scrivere un racconto usando un tu rivolto al lettore

-         5.16) Scrivere un breve testo, Prestando molta attenzione alla cadenza ritmica attraverso l’uso della punteggiatura

-         5.17) Si provi a fare funzionare la macchina delle complicazioni

-         5.18) Proviamo a raccontare una storia di ingiustizia (magari insopportabile, esprimendo la nostra indignazione) ma senza dare giudizi di valore, descrivendo solo i comportamenti, le parole, i gesti, gli oggetti dei personaggi

-         5.19) Per la prossima volta si vada in giro rubando voci (qui,ad esempio Ma pensa te) scrivendo su un taccuino modi di dire, forme gergali, tic linguistici sentiti in giro. Volendo si incominci ad usarli nei racconti

-         5. 20) Proviamo a raccontare un amore anomalo, una relazione asimmetrica (per differenza di età, culture, salute, gusti…)

-         5.21) Anche la differenza Maschile/Femminile non è così scontata. Ci sono situazioni contraddittorie, problematiche di unione nella stessa persona dei due termini contrari (uomo e donna, come nei transessuali) o di unione dei due sub-contrari (non uomo e non donna, come negli angeli). Prova a farci una storia (ad es. cfr. T.Ben Jelloun, Creatura di sabbia, Torino, Einaudi, 1987)

 

 


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