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L'occidentalista

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Il secondo romanzo di Abdel Malik Smari è una sorta di prosecuzione del primo Fiamme in paradiso, perché ancora una volta il protagonista, questa volta Samir, si pone ad esplorare il mondo che lo circonda e le sue manifestazioni più eclatanti anche se meno appariscenti.
Se nel primo romanzo il protagonista Karim era rimasto come abbagliato e frastornato dall'impatto con la società e cultura italiana, Samir, invece la indaga, la analizza, la confronta e ingloba.
Il titolo è un richiamo antitetico, solo nel nome, del famoso saggio di Edward Wadie Said Orientalismo. In effetti poi non si tratta solo di richiamo ma di volontà focalizzante all'inverso le tesi dello studioso palestinese perché se questi metteva a fuoco i pregiudizi insiti nella cultura occidentale nei confronti del mondo orientale, ma meglio dire islamico-arabo, visto come meno sviluppato di quello occidentale, Smari insiste sulle contraddizioni e sulle incoerenze della cultura italiana e occidentale in particolare viste da un "orientale".
E tuttavia pagine critiche nei confronti della cultura arabo-islamica sono presenti anche in questo romanzo, così come lo erano nel primo.
E sotto questo aspetto il protagonista si erge a giudice di culture che vogliono essere "arroganti", ma che poi si contraddicono rivelandosi meschine.
Più significativa sul piano narrativo è la vicinanza e compartecipazione del protagonista Samir con gli emarginati della società italiana. Il barbone, la prostituta, la malata mentale sono coprotagonisti ed espressione più verace della vita e dei cosiddetti valori dell'Occidente, perché sono indici dell'indifferenza, del mercimonio che si fa della donna, dell'alienazione a cui si viene spinti nel tentativo di tener testa alla frenesia, alla ferocia della lotta per il successo.
I derelitti della società sono abbandonati, schiavizzati, al servizio della società bene. In tutto il romanzo c'è una filo conduttore simbolico rappresentato dal cane. I borghesi, coloro che si ritengono su posizione superiore sono quasi sempre accompagnati da cani, che o fanno da cornice alla insulsaggine della vita e delle manifestazioni della vita borghese o fanno da capro espiatorio della loro violenza. Sotto questo aspetto esiste quasi una omologia esistenziale fra i derelitti umani e i cani.
L'idea di fondo sottesa alle vicende della narrazione è che l'uomo debba essere alla ricerca della libertà, ove le costrizioni morali e le consuetudini sociali debbano essere superate perché costringenti l'uomo nella sua realizzazione della felicità.
In alcuni tratti il romanzo sembra ricalcare alcune idee consolidate di Nietzeske.
Per questi motivi il testo assume una valenza culturale che si iscrive nella ricerca e nel cammino delle idee del mondo occidentale là dove con maggiore insistenza ci si è arrovellati sulla libertà, laicità, ateismo.
Per quanto poi attiene alla Letteratura della migrazione ritengo che questo romanzo possa essere una vera miniera per i linguisti. A quanto è dato di comprendere, ma anche a detta dello stesso autore, non è stato fatto un editing prima della stampa da parte dell'editore per cui è possibile indagare su come sia stata recepita la lingua italiana da uno straniero che l'ha appresa da adulto; è possibile accorgersi della diversa valenza di significato che non pochi termini hanno per un nativo italiano e per uno straniero con lingua madre diversa, in questo caso araba. Non si tratta solo di termini, ma anche di modi di organizzare le frasi che sintatticamente corrette assumono però una forma inusitata.
Sarà possibile così notare come i suoni delle parole vengono percepiti e come, a volte per i nativi alcuni suoni accostati sembrano cacofonici, per coloro che hanno acquisito la lingua da adulti e hanno una diversa lingua materna possono invece risultare armonici.

17-12-2008

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