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voglio un marito italiano

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Nel pubblicare i testi scritti in lingua italiana da stranieri residenti in Italia, la nostra editoria utilizza, per lo più, lo stesso clichè; scontato, certo, ma tale da confinare spesso in secondo piano le tematiche sottese alla produzione.
. Da “Io venditore di elefanti” a “Volevo diventare bianca” ancora a “Pecore nere” gli sforzi delle case editrici sono diretti a spostare l’attenzione del lettore dal prodotto letterario alla particolare immagine dell’autore e quindi, alla curiosità etnica e foclorica, perpetuando e consolidando, in tal modo, i pregiudizi imperanti nella società.
Anche la pubblicazione del testo di Marina Sorina, non sfugge a questa manipolazione: “Voglio un marito italiano” predispone il lettore ad una lettura pregiudizievole se non addirittura fuoviante. Il titolo infatti induce a cristallizzare l’immagine delle donne provenienti dall’Est, ucraine, romene, russe che siano, come donne che tendono attraverso il matrimonio a sistemare la loro vita e posizione. Anche l’aspetto iconografico del libro non induce a migliori suggerimenti.
Il romanzo di Marina Sorina non ha certo questa intenzione, ma pone al centro della volontà narrativa alcuni aspetti di confronto e dialettica di due mondi, di due culture, di due modi di vedere la vita: l’ucraina e l’italiana.
La prima, pur nella sua durezza, viene vista ancora piena di senso dell’essenzialità dell’esistenza, della necessità della solidarietà, perché senza questa diventa impossibile la stessa sopravvivenza. L’individualismo non è solamente estraneo a quel mondo culturale, ma è una modalità di vita impossibile.
Più volte nel testo il narratore tende a sottolineare una visione della vita ove l’essenzialità, la solidarietà sono parti costitutive dell’esistenza e producono una comprensione maggiore della realtà, una capacità di tolleranza e una maturazione umana che manca invece là dove l’individualismo, la ricchezza, il tornaconto personale sono i disvalori fondamentali. Sembrerebbe addirittura che la distanza di valori dipenda non tanto dalle culture diverse, ma da soprattutto dai tempi storici diversi. Sotto questo aspetto i valori tradizionale rischiano di scomparire man mano che progresso e benessere aumentano.
Questi sono alcuni aspetti significativi del lungo romanzo della scrittrice di origine ucraina. La protagonista è Svetlana che da bambina si era innamorata dell’Italia, per caso un fortuito era riuscita ad arrivarci e in circostanze ancor più drammatiche era stata costretta a rimanervi. Durante la sua permanenza aveva potuto constatare come la visione idillica dell’Italia e degli italiani era irreale perché aveva incontrato pericoli e attentati alla sua persona, incomprensioni e sfruttamento.
L’esito positivo della vicenda di Svetlana non annulla la perplessità con cui vengono visti l’Italia e gli italiani, né mitiga la comprensione nei confronti dei suoi compatrioti, soggetti anch’essi a duro sfruttamento.
Dal canto suo la protagonista, in tutte le sue vicende, è impegnata soprattutto a salvaguardare la sua dignità di essere umano.
La narrazione in prima persona fa subito pensare ad un’autobiografia, al racconto della esperienza di migrazione. L’amica del cuore della sua fanciullezza, che Svetlana ritrova in Italia dopo anni, la convince a narrare le sue vicende non per la loro eccezionalità ma perché hanno messo a dura prova la protagonista che si era buttata “tra le onde del destino senza un disegno preciso, guidata da un sogno profondamente radicato nell’anima fin dall’infanzia e non dalla disperazione o dal freddo calcolo”

14-11-2006

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