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Il ritorno di Rhoda in Somalia assume l’aspetto di una rinascita, rigenerazione. Che senso ha questo ritorno? Come si pone rispetto ai modelli incontrati precedentemente. Ha una relazione con il modello omerico, con quello dantesco, con quello biblico?
Vediamo in sintesi alcuni aspetti della vicenda. Dopo una vita dissoluta passata in Italia in cui ha anche contratto l’AIDS, Rhoda decide di ritornare a Mogadiscio per morirci. Non morirà di AIDS, ma per altro e violentemente. Ciò che è importante considerare è da una parte il senso di questa morte, di questo ritorno.
Come prima ipotesi si può affermare che il modello di Rhoda sia unico e che richiami riti e credenze per cui il ritorno alla propria terra deve essere il compimento della vita di ciascuno.
Presso molte comunità la persona morta deve ritornare alla sua terra. Questo comune sentire esiste presso i popoli asiatici come presso i popoli africani. “Un giorno mi disse (Balil il nipote): , gli confessai. . , mi disse senza un moto di compassione, di uno che conosce bene la morte. . Un ritorno alla propria casa, alla propria dimora. E’ un ritornare al grembo materno e quindi un rinascere. “Forse se mi fossi fatta montare come una vacca in calore ora, chissà, sarei viva. Dopotutto ero una fica che aveva conosciuto una marea di cazzi diversi nella sua vita. Cazzi lunghi, cazzi storti, cazzi tristi, cazzi strani, cazzi rotti, cazzi folli, cazzi tristi, cazzi ricchi, cazzi amari, cazzi viziosi, cazzi cattivi. Era inquietante constatare come il mio sesso avesse tanta memoria ed essere viva forse. Però sarei stata infelice. In quei mesi in Somalia mi ero purificata, depurata, ripulita. In un certo senso ero tornata vergine. Per questo lottai con tutta la mia forza per il mio onore.”
La propria esistenza, la propria identità viene vissuta come completamente legata al proprio territorio a tal punto che solo rivivendovi è possibile la rigenerazione, il ricominciare daccapo la vita.
E tuttavia la rigenerazione è impossibile perché arriva la morte.
Con molte probabilità se la situazione del territorio fosse rimasta inalterata, sarebbe stata possibile anche la rinascita. Ma tutto era cambiato. “Guardai fuori dal finestrino. Non riuscii a riconoscere niente. C’erano tante case bucate, tanti palazzi distrutti. Mi resi conto che i punti di riferimento del mio passato erano stati spazzati via senza troppi complimenti. Dei monumenti famosi non ne era rimasto in piedi quasi nessuno e quei pochi che rimanevano erano solo le tristi ombre di quello che erano state…Quella che vedevo fuori dal finestrino del pullman non era certo la Somalia che ricordavo.” Il mutamento rende inefficace, inutilizzabile per una nuova esistenza la rigenerazione che il ritorno alla terra d’origine ha prodotto.
Ancora una volta riemerge il modello omerico. Il cambiamento del territorio d’origine conduce alla fine ad un esito drammatico del ritorno.
Ma vi è stato pure un mutamento dell’io, che si congiunge al mutamento del territorio di partenza. Nel ritorno di Rhoda c’è la congiunzione dei modelli omerici con quello dantesco.
Una considerazione a parte, tratta dal contesto biografico di Igiaba Scego può essere significativa. E’ il primo scritto della letteratura della migrazione in cui ci si ritrova davanti al sentire il ritorno come una specie di rigenerazione. Contemporaneamente è da tenere conto del fatto che Igiaba Scego è nata in Italia e la Somalia non è la sua terra di partenza o d’origine.
In effetti anche in Jadelin Gangbo nel suo romanzo Verso la notte Bakonga ha bisogno di un ritorno alle origini, ma lo fa in territorio italiano e attraverso un rituale magico. Gangbo è però nato a Brazeville ed è arrivato in Italia quand’era bambino. E’ un po’ l’esigenze che le cosiddette “seconde generazioni” hanno di ritornare alla cultura, al territorio dei padri, perché si sentono ancora spintati nel paese in cui vivono e che non è quello da cui sono partiti i genitori.
Ma la storia di Rhoda dimostra ancora una volta che il ritorno voluto, sognato, rigenerante nell’immaginario, non è possibile.

22-05-2005

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