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nervature

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La memoria è tema e strumento di tecnica poetica. E’ tema quando essa assume valore a se stante perché solo con il richiamo di fatti, di scene, di vicende si dà senso poetico a prescindere dagli episodi raccontati. Così in Leopardi “Silvia rimembri” acquista subito valenza poetica per il solo termine “rimembri” sia per la sensazione di indefinito insita nel termine, sia perché esso rievoca la memoria, una delle qualità più tipiche dell’essere uomo, se non la più umana. Fonte di sofferenza, malinconia, angoscia, tristezza, ma anche di gioia; le citazioni al riguardo potrebbero essere innumerevoli. La memoria è altresì tecnica di poesia perché attraverso essa le nostre esperienze vengono filtrate, decantate; acquistano purezza, trasparenza. La memoria è poi poetica stessa come avviene in Proust perché ogni nostra azione acquista valore per i fatti accaduti, è legata alla nostra memoria, ne dipende, ne deriva.
Nervature, raccolta di poesie di Gregorio Carbonero, è costruita attorno a queste molteplici caratteristiche della memoria. La poesia che ha questo titolo e che dà il nome a tutta la silloge è una specie di manifesto della intenzione e intuizione poetica del poeta nato in Venezuela.
“ Lentezza, eredità nascosta, / ritrovata solo nei brevi momenti / in cui smarrita l’attenzione verso / le effimere concretezze, altra memoria, alta, ci distoglie”.
Eredità nascosta, lentezza ritrovata quando riusciamo a distoglierci dalle caduche concretezze del presente, destinato a diventare alta memoria.
L’ossatura poetica di Carbonero va però oltre perché se l’uomo fosse solo memoria correrebbe il rischio della involuzione, del ripiegamento su se stesso che può non avere alcun valore se non come fatto consolatorio. La memoria, trova un contrasto, un’alterità che dialetticizza il ritorno al passato per fargli assumere valore nel presente. Nella stessa poesia Nervature, quando ci si aspetterebbe l’esaltazione della rievocazione come àncora e momento di salvezza di fronte alla banalità del quotidiano “forme ancora confuse restituiscono / e respingono la continuità dei giorni.”, ci si trova di fronte ad un verso ove l’avverbio “invece” esalta il contrasto e il momento oppositivo: “Nel giardino invece, dove la pianta / si fa stelo e poi radice, / dove nasconde la forma intrinseca / che la regge, / e volge le nervature verso / la terra consapevole,…respirano una calma distratta, breve, / pronta a disfarsi. Scompaiono.”
L’uomo vive costantemente in una duplicità, in due poli opposti e coesistenti: Il ricordo che nasce dalla esperienza del presente, da un nonnulla della vita, e l’esperienza del presente, che silenzioso affonda nel terreno della vita nascosto ma tenace e che a sua volta sarà poi un ricordo, una memoria richiamata.
Gli elementi del ricordo possono essere vari e molteplici: il turbamento avvertito nell’intravedere una scollatura femminile troppo pronunciata, l’esperienza della iniziazione sessuale, il ritrovamento di una tomba, la consapevolezza della caratteristica sadica di alcune avventure. Essi, però, non costituiscono la cifra poetica di Carbonero. La poesia scaturisce dall’avvertimento della memoria che dà consapevolezza e certezza di esistenza. Nella poesia Se al voltar dell’angol, che è una specie di bilancio della propria esistenza, con un esplicito riferimento a Dante, si afferma “Se volti pagina puoi fare a meno dei tuoi ricordi / dove di te c’è un respiro, almeno o all’incirca?”. La memoria è la coscienza dell’esistenza che è come un filo d’erba resistente, pertinace che si insinua negli interstizi della pavimentazione a lastre.
Il polo della realtà è disarticolato, incomprensibile, non restituisce chiarezza, né sicurezza “ ora lo so, sono uno che sceglie quando è controvento / o che non sceglie affatto, finalmente / mi sono convinto, meglio se gioco in difesa.” E’ una realtà la cui matassa è difficile da sbrogliare, sia perché è “un miracolo sopravvivere”, sia perché, proprio con questa realtà è continuamente in disaccordo. “ Eri costretto. In principio erano quelli i luoghi del dissenso”.
Nella difficoltà ci si muove a “disagio”, ci si sente inadeguati. E’ difficile cogliere i significati che “si sparpagliano, deragliano”.
La realtà disarticolata non permette una piena esplicazione della parola, si preferisce il silenzio, il non detto che a volte è più eloquente di intere comunicazioni. L’esistenza è assordante e non rimane altro che contrapporsi: “Fa che io oggi stia zitto, che non sappia che dire…o che prima di parlare ci ripensi / e non dica niente”.
Ci sono termini, parole, che diventano elementi chiave in questa raccolta: il silenzio e tutto l’insieme delle parole che semanticamente gli appartengono ( zitto, taci, non trovi le parole, non so che dirti, ), l’arco (anche questo contornato da un insieme di altre parole sematicamente legate: inclinati, pendenza, calarsi, lineamenti, voltare, giravo); termine quest’ultimo che, a volte, è accompagnato dall’aggettivo “acre” che ha un suono rovesciato rispetto ad “arco”. Sono elementi che denunciano un substrato poetico che fa fatica ad emergere e a rappresentarsi nella sua evidenza concettuale, mentre acquista tutta la sua valenza quando ci si fermi alla sonorità. La dissonanza, la discrepanza, il contrasto con la realtà che taglia la parola e l’annulla, ma nel costante tentativo di creare un ponte di comunicazione è possibile avvertirla nella pienezza solo ascoltando e non cercando di capire, perché il senso, nella poesia, è sotteso e diffuso nella cadenza musicale della parola.
La struttura tecnica della poesia di Carbonero è determinata dalla sapiente ed efficacissima scelta delle parole con rime interne e assonanze che rinforzano e ribadiscono il contenuto. E’ una poesia da sentire più che da leggere e bisogna evocare dentro di sé aspetti fonici che restituiscono pienezza al discorso poetico. Riporto qualche esempio: “…L’odore acre di urine, / e la ruggine che ti rimaneva in mano”; “ devo scusarmi se frugo, / rischio di perdere tutto”; “e nel tuo viso / nell’equilibrio precario / si cela l’inspiegabile allegria / delle cose vive.” Si noti in questi ultimi versi la rima interna “rio” e il richiamo fonico “vi” del primo e ultimo verso.
Ciò che mi pare di grande rilevanza nel testo pubblicato è l’intervista riportata nelle prime pagine. E’ essa stessa una poesia del pensiero, che sfugge ad ogni costrizione, rimette in discussione ogni elemento che cerchi di fissare, determinare e rinvia sempre a più profondi significati.
Molti concetti vengono trattati sinteticamente con profondità e pienezza di consapevolezza. Significativa è l’analisi del tema “migrante” che secondo il poeta esprime la condizione dell’uomo d’ oggi, perché “si potrebbe dire che l’allontanamento dalla terra d’origine ci faccia sentire soli e distanti da tutto, ma in mezzo ad altri che sono a loro volta altrettanto soli, anche se forse meno distanti”.
La silloge poetica di Carbonero calamita per l’aspetto fonico e invita a riscoprire sempre più profondi significati.

10-06-2010

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